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Visioni fantastiche nell’arte di Philip Corner

Corner, formatosi alla Columbia University e a Parigi, è compositore ed esecutore, pittore e performer

  • 9 novembre 2004

Musica come pittura e pittura come musica nella mostra Philip Corner. Sonate visive (1989-2001), visitabile fino a sabato 20 novembre nei locali della galleria ERSU del pensionato San Saverio a Palermo (via Di Cristina 39; da lunedì a venerdì dalle ore 9 alle 14 e dalle 17 alle 20, e sabato mattina dalle 10 alle 14), organizzata dall’Ufficio Cultura dell’ERSU e curata dalla sua responsabile Silvana Montera. Protagonista, con 50 disegni-partiture, è l’artista newyorkese, ma che oggi vive a Reggio Emilia, Philip Corner, uno dei protagonisti di Fluxus, storico movimento d’avanguardia degli anni Sessanta, incentrato sulla multidisciplinarietà, sullo scambio, sul flusso, appunto, tra le arti, senza confini tra gesto quotidiano ed evento artistico, pittura e disegno, e che ha avuto grande peso soprattutto nell’ambito della performance, della musica contemporanea e della videoarte, con il primo videoartista, il coreano Nam June Paik. Corner, formatosi alla Columbia University e a Parigi, è compositore ed esecutore, pittore e performer, i suoi concerti sono un susseguirsi di musica e silenzio, sonorità fatte di modulazioni progressive verso la leggerezza, il bianco, il vuoto, con l’uso di strumenti provenienti da culture non occidentali e un’attitudine alla meditazione e alla sospensione che risente della cultura, dei rituali e della gestualità orientali.

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Tutto ciò viene trasposto anche in forma visiva attraverso le cosiddette ‘sonate visive’, o, come li definisce lui stesso ‘frammenti musicali dal mondo, tracciati con carboncino e gessi colorati’, dove le orme dei campanelli del telefono, dei piatti tailandesi, del pvonga nepalese o del grande flauto traverso coreano, il taegum, rimangono impresse negli spartiti formando aloni di colore. Sono tracce, apparizioni, cerchi, linee, spirali che formano galassie colorate a tratti vivaci oppure quasi evanescenti, cosmogonie fantastiche o nuclei, visioni molecolari da lente di microscopio, in una fusione immaginaria tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Ponendosi nella stessa linea di artisti delle prime avanguardie come Kandinskij, secondo il quale musica e pittura erano le arti più spirituali, e poi Schönberg, Skrjabin e il lituano Ciurlionis (anche quest’ultimo autore di sonate pittoriche), anche Corner attua questa felicissima sintesi di sonorità e proiezioni visive di forme che, dal legame con gli strumenti attraverso la loro impronta passano a una dimensione sempre più spiritale. Da lodare l’allestimento della mostra, di grande nitore, con leggi trasparenti alle pareti che lasciano ‘parlare’ le opere senza alcuna interferenza. Vogliamo, infine, ricordare il concerto performance realizzato per l’inaugurazione della mostra da Corner, affascinante e solenne direttore d’orchestra in mezzo a un gruppo di musicisti allievi del Conservatorio, che hanno lavorato con lui in uno stage di una settimana. Uno spettacolo emozionante che sembrava far tornare indietro, agli anni della sperimentazione anni Settanta.

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