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Marco Betta, una vita dedicata alla musica: dirigere il Teatro Massimo è come comporre

Una vita tra il conservatorio e il palcoscenico, compositore e direttore artistico, dal 2022 è il sovrintendente del teatro lirico più importante di Palermo. La sua storia

  • 29 marzo 2024

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«Un compositore di armonia e di contrappunto di anime diverse», a Marco Betta piace definirsi così. Una vita per la musica, tra il conservatorio e il Teatro Massimo, compositore e direttore artistico, dal 2022 è il sovrintendente del principale teatro lirico di Palermo, il terzo più grande d'Europa.

Nato a Enna nel 1964, l'amore per il suo lavoro è insito nella sua più grande passione: la musica. Un "linguaggio" scoperto subito già in tenera età, spinto da una sensibilità e un carattere sui generis.

«Ho sempre amato ascoltare musica - racconta - fin da piccolo è stato il mio mezzo di espressione principale; la musica per me è il linguaggio dei timidi perché esprime concetti, emozioni, colori e lo fa in modo straordinario».

All'età di 13 anni Betta inizia a suonare il suo primo strumento grazie a un regalo speciale da parte degli zii: «Un giorno mi viene regalata una chitarra classica, così inizia la mia grande storia d'amore per questo strumento».
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Presto arriva anche la chitarra elettrica e la volontà di intraprendere gli studi musicali al Conservatorio di Palermo.

Durante gli studi, grazie all'incontro con il maestro Eliodoro Sollima, nascerà anche un'altra grande passione di Betta: la composizione, che lo vedrà già a 18 anni autore geniale di diverse opere e giovanissimo direttore d'orchestra.

«Mentre studiavo chitarra in conservatorio - racconta - ho conosciuto il maestro Eliodoro Sollima, con lui sono entrato per la prima volta dentro il Teatro Massimo.

È stata un'esperienza magica perché siamo entrati in un momento in cui il teatro era chiuso».

Quel giorno, adesso che il Teatro è diventato la sua casa, lo ricorda ancora come fosse ieri: «C'erano le prove del maestro Abbado, era in platea e dirigeva la prima di Mahler. Ricordo questo enorme portone dal quale siamo entrati e poi la bellezza di questo teatro con tutte le sue penombre, gli sprazzi di luce e una grande emozione.

Con Sollima ho iniziato ad amare follemente la composizione. Ed è partito questo mio "viaggio senza destinazione"»

Già da giovanissimo suona nell'orchestra del Teatro Massimo. La prima volta sul palco come direttore d'orchestra, poco prima del diploma, sulle note dell'Adagio di Samuel Barber.

Betta studia quindi composizione e si diploma. Successivamente frequenta i corsi di perfezionamento a Firenze tenuti da Armando Gentilucci e a Città di Castello da Salvatore Sciarrino.

Come compositore esordisce nel 1982 al Festival Spazio Musica di Cagliari.

Nascono così una serie di lavori per strumento solo, per ensemble da camera come "In ombra d’amore ballata per viola" (1988) e "Maiores umbræ per 5 strumenti" (1989) con le quali inizia la sua collaborazione con la casa editrice "Ricordi".

«Ai miei tempi chi si diplomava in composizione veniva quasi subito chiamato per lavorare in teatro, - racconta - proprio per l'interdisciplinarietà dei nostri studi venivamo impiegati in varie funzioni. Sono stato su diversi palcoscenici anche come pianista, ho curato le musiche di scena al Teatro Biondo».

La sua musica viene trasmessa ed eseguita in molti paesi d'Europa, negli Stati Uniti, Canada, ex Unione Sovietica, Argentina e Brasile. In Italia riceve inviti e commissioni da enti e festival come il Teatro Alla Scala, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, l’Accademia Chigiana di Siena, l’Arena di Verona, l’Orchestra Sinfonica della RAI di Roma, l'Orchestra Regionale Toscana.

Compositore sublime e direttore artistico, nel 2022 diventa sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo.

L'amore per ciò che fa trapela dai suoi occhi e dalle parole scelte, con una cura estrema e minuziosa, per descrivere il suo lavoro: «Un sovrintendente al Teatro Massimo è sempre in prima linea su tanti aspetti - spiega - da quelli amministrativi a quelli economici, ma è soprattutto un compositore di armonia e di contrappunto di anime diverse».

Cosa intende? «In teatro ci sono tante anime diverse, lavorative e tecniche - continua Betta - dagli attrezzisti ai professori d'orchestra, gli artisti, il coro, i tersicorei, i ballerini, gli amministrativi, i sarti, gli elettricisti.

Il sovrintendente si occupa di fondere insieme la creatività di tutte queste anime diverse, che "fanno" il teatro, per spingersi insieme verso lo stesso disegno finale: la creazione delle opere che mettiamo in scena. Ma il mio ruolo è anche quello di curare l'interazione del Teatro con la città, con i più piccoli, le scuole e i quartieri che hanno meno possibilità di venire a teatro».

Uno degli aspetti forse più complessi del lavoro da sovrintendente è proprio la programmazione di una stagione: «È un'operazione di ascolto - spiega Betta - significa suonare insieme, programmando: proviamo a immaginare prima un diario di viaggio e poi un viaggio parziale che racconti porzioni importanti della grande tradizione dell'opera».

È proprio la capacità d'ascolto e l'interazione tra le parti la chiave del suo lavoro, che da musicista e da uomo di grande sensibilità ha insita nel suo essere: «Credo che la capacità che i musicisti abbiano di ascoltarsi l'un l'altro e che lo stesso teatro abbia nel creare delle operazioni complesse come un'opera lirica, dove tutte le parti coinvolte si parlano, siano uno degli esempi più belli di vita e ascolto reciproco».

Poi c'è la musica in sé e la grande meraviglia che si prova ad ascoltarla in un luogo che non solo produce arte ma è esso stesso un'opera d'arte.

«Il Teatro Massimo è un teatro che ha una personalità unica - spiega Marco Betta - non è solo un teatro molto grande: è anche un grande capolavoro dell'architettura. Un teatro con una scalinata che diventa anche una gradinata, dove il suo rovescio all'esterno guarda al mare con le due grandi sculture della tragedia e del melos nel frontone.

All'interno è costruito come un grande strumento musicale con le sue anse di eco che culminano in questo meraviglioso punto circolare, un universo del suono nella sala Pompeiana, dove chiunque può ascoltare il suono dentro sé stesso».

Tra tutta questa bellezza, è difficile scegliere un luogo preferito all'interno del Teatro Massimo, ma Betta non ha alcun dubbio: «Il luogo più misterioso, più magico, dove le mie emozioni vanno oltre il sensibile è il palcoscenico. Un po' perché ci sono legato per la mia attività di musicista da sempre: con la sua acustica perfetta il palcoscenico del Teatro Massimo è il luogo più importante per me».

La cosa che Betta ama di più del suo lavoro è infatti la vibrazione degli spettacoli: «Questa capacità che gli spettacoli hanno di "arrivare" facendo diventare anche il pubblico, nell'ascolto, parte dello spettacolo.

L'interazione che si crea fra pubblico e artisti è una sensazione irripetibile, una sorta di vertigine: la capacità di comunicare tutti insieme come un unico grande organismo, come se l'arte fosse capace di mettere insieme tutte le anime del mondo».

Un altro momento speciale per Betta è il silenzio dopo l'applauso: «Lo scaricamento di una tensione - spiega - come se ciò che abbiamo ascoltato finalmente si definisse nel cervello e riuscisse a concretizzarsi sotto forma di fotografia sentimentale dell'opera. Questa sensazione meravigliosa è una delle esperienze più sublimi che si possano vivere».

Prima di salutarci, proviamo a tirare insieme le somme su questi due anni di duro e intenso lavoro: «Come sia cambiato il Teatro Massimo in questi due anni non lo so dire - sorride - una cosa che mi ha insegnato la musica è il sorriso, mi piace pensare che chi entra qua dentro abbia continuato a sorridere e a sentirsi abbracciato dalla musica».

Abbracciato? «Quando ci tuffiamo nell'ascolto di una sinfonia - spiega Betta - o attraversiamo la multisensorialità dell'ascolto di un'opera o di un balletto, veniamo travolti da tutti questi questi rami magnetici che il palcoscenico irradia, di vibrazioni e molecole dell'aria che ci colpiscono da tutte le parti, come una forma di abbraccio sensibile.

Mi piace pensare di essere riuscito a portare un po' di questa poesia, che il teatro possedeva già».
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