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Nel Seicento proteggeva zitelle e contadini: chi era "Sataliviti", il Robin Hood siciliano

Anche la Sicilia ha avuto il suo Robin Hood, un brigante dal fascino ammaliatore che visse la sua esistenza da criminale senza mai macchiarsi le mani di sangue

  • 3 giugno 2020

Particolare de "Il bacio" di Francesco Hayez, realizzato nel 1859 e conservato alla Pinacoteca di Brera

Guy de Maupassant sosteneva che «la Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo» ma è anche una terra piena di misteri e leggende, lestofanti e malfattori d'ogni tipo.

Tante sono le storie che in passato hanno visto protagonisti uomini ammantare le turpi gesta di moventi nobili (salvo poi - sotto sotto - fare solo i propri interessi), a differenza di un brigante siciliano di fine Seicento che aveva davvero la vocazione di aiutare contadini e zitelle.

Proprio così, la mission di Antonio Catinella da Mazara (1679 – 1706) era quella del buon padre di famiglia e accasare più schiette possibili. A lui si rivolgevano padri troppo poveri per permettersi di dare una dote alle figlie e genitori di ragazze ormai fuori età oppure poco o per niente desiderabili.

Catinella era diventato una sorta di "pericolo pubblico numero uno" dei ricchi e provvedeva in nome della giustizia e dei diritti dei poveri, riuscendo a vivere un'intera esistenza da criminale senza mai macchiarsi le mani di sangue e aborrendo la violenza fisica.
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Le sue gesta criminali - rapine, rapimenti, furti, sequestri, ricatti, saccheggi e chi ne ha più ne metta - prendevano il via immancabilmente dall'esigenza di dare un gruzzoletto alle giovani spose. Colpi capaci di destare sempre profondo clamore per le modalità audaci e l'elevato valore dell'incasso.

Si dice che il suo animo fosse molto generoso con i bisognosi. Naturalmente teneva per sé e per la sua banda buona parte del bottino, ma l'iniziale movente criminale era l'esigenza di aiutare.

Non di rado capitava che una volta aiutate le giovani spose ci tenesse anche a fare un bel regalo di matrimonio: denaro, viveri, oggetti per la casa. Per il Robin Hood siciliano senza macchia e senza paura, insomma, la famiglia era tutto.

La sua organizzazione criminale prevedeva la moglie come vicecapo. E si narra che a fargli cambiare vita, ad un certo punto, non fu solo l'imminente arresto, ma il rischio che la consorte scoprisse che in alcune occasioni il giovane ribelle non s'era limitato a furti e rapine ma aveva anche approfittato di giovani donne (addirittura novizie di conventi).

A metterlo con le spalle al muro, intimandolo di dire tutto alla moglie, fu il vescovo di Girgenti, l'attuale Agrigento, Francesco Ramirez, indispettito per le troppe frequenti incursioni nei conventi femminili della diocesi.

Così il prelato decise di fissare un incontro clandestino con il bandito siciliano per convincerlo a mettersi la testa a posto e lasciar perdere la vita di scorrerie. Non poteva di certo permettere che alcune monache perdessero non solo i beni della Chiesa ma anche la testa (e qualcos'altro!).

Una prima volta Catinella si trasferì a Roma, ma si sa "il lupo perde il pelo ma non il vizio" e tornò per assaltare un paio di badie nel palermitano. Incontrato di nuovo il vescovo Ramirez, decise stavolta che avrebbe definitivamente "rigato dritto", trasferendosi a Livorno, in Toscana, dove si guadagnò da vivere praticando quello che in origine era il suo mestiere: il muratore.

Ma inesorabile il destino scaglia i suoi dardi e Catinella ebbe la terribile giustizia terrena del viceré Isidoro de La Cueva e Bonavides, nonché marchese di Bedmar, che non onorò la promessa di monsignor Ramirez e ordinò a delle guardie travestite da muratori di arrestarlo e riaccompagnarlo in Sicilia via mare.

Amato dal popolino per la sua generosità e osannato per aver compiuto mirabolanti imprese, la folla seppe subito del suo arresto e lo aspettò al porto, seguendo con passione le fasi del processo.

Soprannominato "Sataliviti" per l'agilità con cui entrava nelle case e nei conventi da depredare, in molti contavano sulla sua fuga. Lui invece, il bandito più conosciuto della Sicilia che faceva anche breccia nel cuore delle donne, accettò con umiltà il processo e la condanna a morte, forse eccessiva non avendo ucciso nessuno ma solo rubato.

Quando lo portarono alla forca e prima che il boia gli mettesse il cappio al collo, Catinella pronunciò le seguenti parole: «Non ho fatto del male a nessuno. Neanche ai ricchi: ho tolto loro il denaro così da liberare le loro coscienze e renderli degni del Paradiso».

Era l'11 maggio 1706 quando, all'età di 28 anni non compiuti, morì l'eroe mitico e romantico che rubava per ridistribuire la ricchezza ai poveri compiendo gesta leggendarie.
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