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"O a Palermo o all'Inferno": dov'è l'obelisco (del Basile) che ricorda il passaggio dei Mille

Il garibaldino palermitano Salvatore Cappello, fidato compagno di Garibaldi, fece erigere in quel luogo un monumento che ricordasse l’epopea che unì l'Italia

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 10 ottobre 2023

L'obelisco del Basile a Gibilrossa

"Nino, domani a Palermo": solo una frase, un’esclamazione o magari solo un pensiero abbozzato nella mente, e detto involontariamente ad alta voce, ma con tale convinzione e ardimento da renderlo vero! Era la notte del 26 maggio 1860, e tra le stanze di casa Gucciardi a Misilmeri si faceva la "storia".

È proprio lui, l’eroe dei due mondi, il patriota, generale e uomo politico che dopo aver aderito alla Giovine Italia e preso parte a moti insurrezionali in Italia e nelle Americhe, combattendo per l'indipendenza dei paesi, rivolgendosi a Nino Bixio, per la prima volta pronunciava quelle celebri parole, sentendosi poi rispondere: «o a Palermo o all'inferno».

Il dado era ormai tratto! A pochi chilometri da lì, ai piedi della “jabal raʾs”, ovvero Grande Montagna, da giorni il Generale La Masa preparava insieme ai “Mille” garibaldini e i picciotti siciliani venuti da ogni parte d’Italia, il campo di Gibilrossa.
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Tra rulli di tamburi e trombe festanti di giorno e fuochi accesi durante la notte, tutto faceva presagire ai palermitani che l’ora della liberazione era vicina. All’alba del 26 maggio, Garibaldi dalla piazza di Misilmeri si incamminava verso l’atteso monte, dove erano accampati i picciotti, che dall’alto potevano vedere a valle, nel piano di "Mastro Pietro" il campo dei Mille.

L’attesa era terminata; le decisioni già prese! L’altopiano di Gibilrossa, offriva una visuale e un panorama ottimale sull’intero golfo di Palermo, da Monte Pellegrino a Montagna Grande, da Monte Catalfano ai giardini di Bagheria. “E dopo aver guardato fisso e osservato a lungo, Garibaldi puntava l’indice verso la città e riconfermava a Bixio, la scelta presa”.

Al calar del sole, le squadre dirette da Tukory, La Masa e Bixio, passando prima per la ripida e scoscesa “scala” di Gibilrossa e dai lussureggianti giardini di Ciaculli poi, entravano alle porte di Palermo.

Il Campo di Gibilrossa da allora rappresentò sempre nella memoria e nell’immaginario dei combattenti, un luogo “dedicato”, ma soprattutto da commemorare ai posteri.

Fu proprio del garibaldino e patriottico palermitano Salvatore Cappello, fidato compagno del Generale Garibaldi, l’iniziativa di far erigere in quel luogo, un monumento che ricordasse l’epopea di Mille.

Grazie alle prime donazioni ricevute, fu dato nel 1879 incarico all’Ingegnere Abele Ferrario di iniziare i lavori per il progetto monumentale, che per mancanza di fondi dovette però arrestarsi nel 1880.

Come ricardato dal Platino, fu decisivo in questo frangente di stasi, l’intervento del Comitato Popolare del Vespro, che assumendosi l'impegno di completare a proprie spese il monumento, decise però di ingaggiare per questo nuovo progetto, la più importante "matita" siciliana del tempo, quella dell’architetto palermitano Gianbattista Filippo Basile (progettista del Teatro Massimo).

Il monumento di Gibilrossa, richiamò nello stile e nelle forme, gli obelischi tipici dell’arte egiziana, con base quadrangolare formata da sette gradini di varia altezza con all’estremità una punta piramidale.

Nelle tre facciate vennero affisse delle lapidi commemorative a ricordo degli avvenimenti storici della campagna Garibaldina con gli stemmi di Palermo, della Sicilia e di Casa Savoia. Il monumento fu solennemente inaugurato il 4 Aprile 1882, durante il VI Centenario del Vespro Siciliano, senza però la presenza dell’Eroe dei due Mondi.

Il Generale Garibaldi indisposto in quei giorni, a Palermo, ospite del Sindaco Marchese delle Favare nella Villa di romagnolo, non vi poté intervenire, ma il 13 Aprile migliorate le sue condizioni fisiche, salì in carrozza verso Gibilrossa a vedere l'Obelisco, ripensando magari a quei giorni e a quelle parole incise ormai nella storia nazionale.
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