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Per una vita ha aperto (e chiuso) lo Stadio: Giacomino è un pezzo di storia di Palermo

Un viaggio incredibile che comincia già in adolescenza, quando lui si limitava a lavorare come maschera allo stadio. Vi raccontiamo la sua storia

Peppe Musso
Collaboratore
  • 4 febbraio 2024

Un pezzo di storia della nostra città.

Questo è l’unico modo per definire Giacomo Di Giovanni, per gli amici Giacomino, che per una vita ha aperto (e chiuso) i cancelli del "teatro dei sogni" di molti palermitani, ovvero lo stadio Renzo Barbera. Abbiamo voluto ripercorrere insieme a lui la sua vita, e i momenti più caratteristici legati alla sua professione.

Tutto è iniziato con un «Vediamo quello che mi ricordo». Un viaggio incredibile, quello di Giacomino, che comincia già in adolescenza, quando lui si limitava a lavorare come maschera allo stadio, quando poteva e quando c’era l’occasione.

“Dopo è arrivato il dottor Barbera, e anche lì facevo soltanto qualche lavoretto. Nel frattempo io lavoravo il pesce, ma vedevo che l’attività andava scemando”.

Tutto cambia quando arriva il presidente Polizzi: a quel punto Giacomo decide di andare direttamente da lui a chiedergli di venire assunto: “Il presidente aveva un grande rispetto per la gente che lavora: subito mi disse di sì, e quando mi è arrivata la notizia di essere stato assunto non potevo neanche crederci. Facevo così: al mattino insieme a mio padre e a mio fratello vendevo il polpo, e a mezzogiorno, la domenica, andavo allo stadio”.
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Impossibile non citare colui che riportò il grande calcio a Palermo dopo tanti anni, Maurizio Zamparini: “Appena il presidente Zamparini è arrivato, la prima cosa che mi ha chiesto è stata se io fossi a conoscenza di qualcuno che si occupava dei poveri, la primissima cosa.

«Io – continua Giacomo - gli ho indicato Biagio Conte, e grazie a me si sono messi in contatto. Sono andato a trovare il fratel Biagio insieme al presidente Zamparini, che gli ha dato una ingente somma di denaro». Il presidente di quella squadra, Zamparini, era un uomo che credeva tanto nei segni, nel destino.

Inevitabile allora portare la squadra a Monte Pellegrino, dalla "Santuzza".

«Rino Foschi, il direttore di quei tempi – ci racconta Giacomo - mi ha chiesto se si potesse fare questa cosa. Io ho parlato col presidente e non ci sono stati problemi. È stata un’esperienza bellissima: li ho accompagnati lì in chiesa, un momento davvero profondo.

Siamo stati anche nelle carceri di Palermo, abbiamo cercato di fare tanto per i meno fortunati», continua con una punta d’orgoglio nella voce.

Un rapporto coi tifosi, quello dell’ex portiere dello stadio, molto diretto e sincero.

«Io ho avuto sempre un carattere buono, non mi è mai piaciuta la violenza. Coi tifosi ho sempre avuto un rapporto incredibile. Io, anche ai tifosi più "caldi", che ancora oggi riempiono le curve, mi limitavo a dare dei consigli, e penso che grazie ai miei bonari rimproveri si sia evitata qualche “discussione”, per non essere troppo specifici. Purtroppo noi palermitani siamo un po’ così, fumantini, specialmente se c’è di mezzo il rosanero».

È un piacere sentire le risate di chi ci sta facendo rivivere un viaggio ricco di eventi. Ma essere il custode del tempio rosanero può portare anche dei vantaggi inaspettati, come quello di trascorrere delle vacanze quantomeno singolari.

«Sempre grazie al presidente Liborio Polizzi – continua Giacomino – mi era concesso di fare una cosa bellissima: passavo la Pasqua e la Pasquetta proprio allo stadio, con mia moglie e i miei figli. Avresti dovuto vederlo: la gente bussava, perché voleva vedere lo stadio, e io a qualcuno gli ho anche fatto fare un piccolo tour. Sono cose davvero che mi rimangono nel cuore».

Uso interno Giacomo ne ha viste davvero tante, quasi spontaneamente vengono fuori i momenti più belli e quelli più bui: «Mi porto dentro il rapporto che avevo con Roberto Biffi, storico capitano. Finiti gli allenamenti Roberto veniva a sedersi con noi in portineria: si scherzava, ci si divertiva tantissimo. Tutt’ora ci sentiamo, a volte, è veramente una persona straordinaria».

Non tutto però è sempre stato rose e fiori, specialmente il modo in cui il lavoro allo stadio è terminato: «Sono stato ingannato, per farmi smettere di lavorare. Mi hanno fatto firmare delle carte – continua Giacomo, un po' commosso - e mi hanno fregato così. Ci sono rimasto davvero male, non me lo meritavo tra l’altro. Hanno giocato sulla mia onestà».

Poi la conversazione torna sui tifosi, ma questa volta il signor Giacomo si sofferma sul rapporto che la gente aveva proprio con lo stadio in sé: «Un rapporto incredibile, si può dire che i palermitani trattino lo stadio come un loro parente. Ci sono affezionati, del resto è il posto dove uno può sognare. Inoltre si può dire che io abbia lavorato anche per l’ufficio Anagrafe».

Il riferimento è alla miriade di portafogli e documenti ritrovati e restituiti, a volte senza ricevere neanche un caffè in cambio, ma molte altre con incontri pieni di cordialità e risate. Tutto si chiude con un ricordo indelebile, per Giacomo e sicuramente per tanti altri: l’ultima promozione in serie A vissuta da portiere, quella del 2004, firmata proprio dal presidente Zamparini.

La gioia provata non si può descrivere a parole, è stata immensa: «Ho visto tanta gente piangere, tanta gente grande di età. Se questo non è amore, allora che cos’è?».
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