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Sei a Palermo ma qui ti senti sul set del film "Lo squalo": tra le fauci del re degli Oceani

Due uomini adulti avrebbero potuto serenamente sedersi sulla bocca spalancata di questo “mostro preistorico” i cui resti sono stati ritrovati nelle campagne siciliane

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 20 aprile 2023

I resti del megalodonte

Tra tutti i reperti che è possibile osservare all’interno del museo di Geologia G. G. Gemmellaro di Palermo, c’è n’è uno che si distingue per la sua stazza e maestosità.

Situata al primo piano, davanti alla sala dove abitualmente si susseguono le conferenze all’interno del museo, la ricostruzione delle mascelle del Megalodonte (Otodus megalodon), uno squalo preistorico enorme, che visse fino a 3 milioni di anni fa, toglie infatti letteralmente il fiato.

Questa specie è stata infatti tra le più grandi forme di squali ad essersi mai evolute e raggiungeva fino ai 19 metri, anche se la dimensione media era di 11.

È stato il più temibile predatore degli oceani per quasi 20 milioni di anni e visse in gran parte degli oceani del mondo fra il periodo Miocene e il Pliocene.

Il museo ne dispone una ricostruzione perché in pieno territorio siciliano, fra le campagne di Ciminna, Castellamare e Corleone, i paleontologi sono riusciti ad estrarre molteplici dentature complete appartenute alla specie, che permisero successivamente di identificare la stazza dell’animale e di disporre alcune delle collezioni più suggestive in Italia legate a questo grande predatore.
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La ricostruzione inoltre delle mascelle di Megalodonte presente al museo risulta essere tra le più grandi del mondo e ci permette di comprendere pienamente il pericolo rappresentato da questa specie nei mari preistorici.

Considerando infatti che i denti ritrovati in Sicilia sono lunghi anche ben 18 centimetri e che le prede preferite dei Megalodonti erano piccoli capodogli, delfini e altri squali, facilmente si può immaginare, osservando la dentatura presente al museo, quali danni potessero apportare al resto della fauna marina.

Due uomini adulti avrebbero potuto infatti sedersi sulla bocca spalancata di questo “mostro preistorico”, senza avere timore di non aver sufficiente spazio per sgranchirsi le gambe.

Osservando però la maestosità della bocca di questo animale, è naturale chiedersi come mai un predatore così perfettamente adattato alla caccia si sia estinto, non lasciando nulla dietro di sé se non vecchie ossa e denti. Cosa quindi ha estinto il Megaladonte? L’assenza di prede? La competizione con altre forme di predatori più piccoli, ma più efficienti? No.

Sembra che ad aver estinto il Megalodonte sia stato il drastico calo delle temperature che colpì il pianeta Terra durante il Pliocene.

Questo calo delle temperature non è però riferito alla famosa era glaciale che colpì l’emisfero settentrionale, quando il territorio europeo era solcato dai Mammuth, ma ad un cambiamento climatico antecedente, che spinse per esempio anche i nostri antenati, in Africa, a spingersi in nuovi territori e ad abbandonare le fronde degli alberi che fino a quel momento avevano costituito la casa di tutti i primati.

Certamente, l’abbassamento delle temperature dell’acqua non colpì il Megalodonte solo termicamente, ma danneggiò anche irreparabilmente anche le sue prede, provocando una serie di catastrofi globali che stravolsero gli ecosistemi e la composizione delle comunità animali.

I cetacei, a differenza dei Megalodonti, sopravvissero all’estinzione poiché iniziarono ad adattarsi alle acque più fredde e formando nuove specie, come le orche che iniziarono a perlustrare gli oceani al posto dei vecchi predatori.

Una storia che non a caso è possibile leggere all’interno degli altri reperti presenti nel museo, o almeno in quelli che accompagnano ai lati la ricostruzione del Megalodonte e che ci permettono di studiare i cetacei preistorici siciliani. Furono quindi i cambiamenti climatici e la comparsa di cetacei capaci di resistere al freddo a dire la parola fine al re di tutti gli squali.

Se però possiamo trarre una lezione dalla lunghissima storia di questi animali, che risale all’Ordoviciano e a 400 milioni di anni fa, possiamo confidare che seppure attualmente in difficoltà, gli eredi del Megalodonte ci daranno ancora parecchio filo da torcere, nella lotta per l’esistenza che oggi sta divenendo sempre più una disperata corsa contro l’estinzione.
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