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Torna una volta l'anno: il fantasma di Federico II al galoppo lungo la Torre di Enna

Al grande imperatore si attribuisce la costruzione di una famosa Torre ottogonale, alta 24 metri, che fu un osservatorio astronomico-geodetico costruito dai Siculi

  • 22 novembre 2020

La torre ottogonale di Federico II di Svevia a Enna

Che strano destino, quello di Enna. Essa stesso è, in effetti, un mistero, lì al centro della Sicilia, e dunque in un immaginario di sole torrido e di lunghe coste di sabbia che costringe i suoi abitanti a una sorta di clausura felice.

Eppure è proprio Enna che trasgredisce questo mito, e lo fa dandosi a una negazione ostinata dei luoghi comuni sull’Isola, come una Sicilia che tradisce se stessa perché in fondo è proprio la Sicilia che non esiste se non nella forma di una squisita leggenda geografica.

Intanto il suo nome, che deriva dal sicano Ennaan, ellenizzato e poi latinizzato in Henna, fino a quando con la dominazione islamica prese a chiamarsi Qasr Yanna, che letteralmente significa “roccaforte di Henna”. La corruzione della etimologia in lingua araba si deve ai Normanni i quali trasportarono in lingua latina il nome, dando origine a Castrum Ioannes da cui il siciliano Castrianni e dunque Castrogiovanni, in uso per la città dall’XI secolo fino al 1927, quando il processo di denominazione fascista, che riprendeva dove era possibile i nomi di età classica, le da il nome attuale di Enna.
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E però la trasgressione del mito della Sicilia è nella natura profonda della città, definita “urbs Inexpugnabilis” dai romani per la sua imprendibilità che la colloca ad essere oggi il capoluogo di provincia più alto d’Italia, dominando la valle del Dittaino e la valle del Salso. Il clima d’inverno è freddo e umido, e d’estate caldo, ed è frequentissima la nebbia - presente per ben 140
giorni all’anno – per cui la città si aggiudica anche il primato di capoluogo di provincia più nebbioso d’Italia.

E questa caligine quasi romanzesca si spande soprattutto nel centro storico sulla parte più alta della città, fra pittoresche scalinate e stretti vicoli di matrice araba che scendono, tortuose, dal centro ai rioni più bassi. Al tempo antico di una Sicilia luminosa, il clima più mite rese Enna un buon rifugio dai lunghi pomeriggi canicolari – dilatati nell’angoscia di una fine incerta – per l’imperatore Federico II di Svevia, il più grande uomo alla guida dell’Isola.

È proprio per questo che a lui si attribuisce la costruzione di una famosa Torre ottogonale, alta 24 metri, che – secondo
alcuni studi - fu un osservatorio astronomico-geodetico costruito dai Siculi. La Torre risulta inserita all’interno di un sistema di torrette sparse nel territorio della Sicilia, secondo allineamenti ben precisi che costituiscono la base della triangolazione dell’Isola.

A guardarla sulla facciata principale, si notano 16 finestrelle che riproducono, di fatto, lo schema della “Delimitatio templum
caelesti” di Sicilia, cioè l’antica rete stradale dell’Isola avente come centro proprio la città di Enna. Se tutto ciò fosse vero, se ne dovrebbe dedurre che non sarebbe affatto un edificio di età medievale, e dunque non riconducibile a Federico II di Svevia.

E però, secondo altri, la forte valenza simbolica della Torre - nella forma di una rotazione di un quadrato su se stesso, come la rosa dei venti – richiama con la sua pianta ottagonale l’architettura del “castello ideale” con i significati cosmici di Resurrezione, dacché una sorta di "battistero laico" per l’uomo nuovo che resuscita e rigenera.

A sostegno di questa tesi, ben al di là di ogni evidenza, è proprio Federico II di Svevia; o, meglio, il suo fantasma. Pare, infatti, che i custodi e alcuni abitanti della zona abbiano confermato alcune singolari presenze, e alcuni anziani sostengono di avere udito lo spettro dell’Imperatore che lancia il suo cavallo al galoppo lungo il viale antistante alla Torre.

Tutto ciò accade una sola volta durante l’anno, in un giorno preciso, con il fantasma che percorre un lungo tratto a briglia sciolta scalpitando il suo cavallo fino a scomparire nei crepuscoli brumosi di Enna.

«Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l'"asilo della pace"», come di Federico II scrisse in una lettera il figlio Manfredi, lo stupor mundi dalla personalità poliedrica e affascinante, l’uomo che parlava sei lingue e amava la poesia della Scuola Siciliana, ecco che pensarlo magnifico mentre domina la natura d’intorno è un'immagine straordinaria, una sequenza di storia leggendaria che l’uomo immagina quale precipitato di un suo desiderio.

Un'Isola che si fa ancora una volta crocevia di culture, ibridazione di popoli, prospettiva esemplare; e non da Palermo o da Siracusa, ma dalla piccola città di Enna, ombelico della Sicilia, avvolta nelle brume che il primo sole dirada, e chissà che il fantasma dell’Imperatore Federico II non giunga fino alla possente Rocca di Cerere, su cui una volta sorgeva l’antico Tempio di Demetra, un luogo di culto misterioso che sembra l’Agarthi, il regno sotterraneo nascosto agli occhi degli uomini e popolato da esseri semidivini rifugiati sottoterra per preservare dalla barbarie i loro poteri e le loro conoscenze.

E, da lì, la bellezza.
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