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Palermo, 18 aprile 1943: piazza Sett'Angeli e l'indimenticabile strage dimenticata

È il 18 aprile 1943 e siamo in centro storico a Palermo: la testimonianza speciale è quella di Lia, che era solo una bambina ma ci sono ricordi che non si cancellano

  • 18 aprile 2018

Tratta dal libro "Bombardamenti su Palermo" di S. Romeo e W. Rothier (Ed. Istituto Poligrafico Europeo)

Papà ho sete!
Cerca di resistere, piccolo mio.
Ma c’è caldissimo!
Fra poco usciremo tutti da qui, sta’ tranquillo.
E se ne andranno?
Certo. Fra non molto se ne andranno.
E si spegneranno anche le sirene?
Appena andranno via, le sirene saranno spente.
Papà, ma qui siamo in pericolo?
Non devi aver paura, qui siamo al sicuro.*


Piazza Sett’Angeli si trova tra la cattedrale di Palermo e il Convitto Nazionale. È una piazzetta dove oggi, nell’ora di ricreazione, gli studenti del Liceo Classico Vittorio Emanuele II trascorrono la loro pausa.

Si siedono sui muretti della piazzetta, accanto ai resti della domus romana, senza sapere che in questo luogo c’è anche un’altra storia, una triste storia.

Una storia di un passato recente che ci porta alla Seconda Guerra Mondiale quando sotto la villetta c’era un rifugio antiaereo, il più famoso tra i ricoveri.

Tutti pensavano che fosse il più sicuro di tutti, infatti era sempre pieno. Sappiamo che i rifugi non bastavano per tutti ma questo in particolare era uno dei primi ad affollarsi. Magari perché era protetto dai Sett’Angeli.
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È il 1943 e i palermitani sanno che i bombardamenti sono sempre più intensi e che appena suona l’allarme si deve scappare al più presto, per non morire. È il 18 aprile, ad ogni angolo di strada si parla ancora dell’esplosione della Santabarbara, quando suonano ad un certo punto suonano le sirene e le voci pacate degli abitanti si trasformano in urla di terrore. Tutti scappano impauriti dall’arrivo delle bombe.

In Piazza Sett’Angeli il ricovero è pieno quando una bomba, a scoppio ritardato, cade proprio sulla piazza. La bomba non perdona, entra nel rifugio ed esplode all’interno.

Purtroppo, contro la guerra nemmeno i Sett’Angeli sono riusciti a salvare la popolazione: la bomba è caduta sul rifugio e all’interno rimangono solo morti. Ormai non c’è più niente da fare.

Le autorità dell’epoca, una volta arrivate sul posto, non hanno potuto far altro che constatare la devastazione e contare i morti: chi era nascosto nel rifugio infatti era stato giustiziato dalla ferocità del cielo in guerra.

La decisione immediata è quella di recuperare soltanto i corpi interi o quasi (molti erano solo pezzi di corpi sparsi qua e là nella piazza) e di dichiarare ufficialmente solo 30 vittime. In realtà, non si è mai saputo il numero esatto delle vittime, ma probabilmente sono molte di più: il rifugio infatti poteva contenere centinaia di persone.

Ultimato il recupero dei corpi, le autorità decidono di coprire con una colata di cemento quel che resta del rifugio, seppellendo così – almeno secondo le testimonianze - la maggior parte delle vittime che sono rimaste lì sotto le macerie.

Siamo in un periodo di guerra dove l’informazione è controllata, dove la propaganda prevale sulla notizia, la popolazione non deve perdere la fiducia nei rifugi pubblici, nei provvedimenti presi per la loro protezione e il nemico non deve sapere quello che è successo. Dunque copriamo tutto il disastro con un grande velo di cemento.

Ma la memoria dei palermitani è più forte del cemento. Chi ha vissuto quei tragici momenti non riesce a dimenticare. Anche se a volte non vuole ricordare, nel profondo della loro memoria, sa di questa strage. Come la signora Lia quei giorni se li ricorda bene.

«Era qualche giorno prima che fu colpita piazza Sett’Angeli, forse il giorno prima, quando è suonato l’allarme - racconta - mia madre era con noi tre bambini. Siamo scappati di corsa verso Piazza Sett’Angeli perché si diceva che era un luogo molto sicuro».

«Non abbiamo fatto in tempo di arrivare fino a lì che già cadevano le bombe e mia madre, buonanima, che era molto credente, quando ha visto un portone con una statua di San Giuseppe di sopra ha deciso di fermarsi sotto, sperando nella salvezza grazie alla protezione del santo».

«Mia madre teneva forte le mani mie e di mia sorella e cercava di tenere vicino mio fratello. La gente correva, scappava dalla morte, mentre noi eravamo immobilizzati dal terrore. Mio fratello in un attimo è sparito. È stato travolto dalle persone. Travolto della folla che si dirigeva verso il vicino Ricovero di Salita Ramirez. Appena qualche secondo dopo, un boato enorme. Una bomba ha colpito quel rifugio. È l’ultima volta che ho visto mio fratello».

La storia ci dice che aPiazza Sett’Angeli molti hanno perso gran parte della famiglia, cugini, zii, genitori. Molte sono le storie tristi come questa, tracce di memoria indelebili nei ricordi dei palermitani.

*Estratto da “L’ottavo angelo” di Giuseppe Cerdone.
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