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A 20 anni decide che sarà un pastore: Marta e la scommessa vinta a Belmonte Mezzagno

Quella che allora era poco più che una ragazzina, oggi è una trentenne e quel lavoro lì lo ha proprio fatto (e anche bene). Vi raccontiamo la bella storia di Marta Spera

Anna Sampino
Giornalista
  • 28 febbraio 2022

Marta Spera, donna pastore e imprenditrice agricola di Belmonte Mezzagno

Quando, a poco più di 20 anni, comunica alla famiglia la scelta di tornare "alle origini", sua nonna esordisce con la domanda: «A picciridda vero sto travagghiu deve fare?». Una frase che chissà quante nonne hanno detto (e dicono) alle loro nipoti, preoccupandosi del loro futuro.

Un po' meno affettuoso si è mostrato chi alle sue spalle mormorava: «Assai questa deve durare». E invece, sì, quella che allora era poco più che una ragazzina, oggi trentenne, quel lavoro lì lo ha proprio fatto (e anche bene). Marta Spera, donna pastore di Belmonte Mezzagno - piccolo comune in provincia di Palermo - di dimostrazioni ne ha date tante.

«Quando dicevo che avrei fatto il pastore, io, a 21 anni, per giunta donna, in pochi credevano che potessi farcela. Ma io sì e ho dovuto dimostrarlo sul campo con il lavoro duro, gli sforzi, i sacrifici e l'aiuto dei miei genitori, che hanno sempre avuto fiducia nelle mie potenzialità. Per abbattere gli stereotipi in un settore prettamente maschile, insomma, le parole sarebbero servite a poco. Contavano i fatti».
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Oggi, dopo 10 anni da quella scelta che rivoluzionò la sua vita, Marta è un'imprenditrice agricola felice e convinta del mestiere che svolge.

Ma andiamo con ordine.

Ha appena 21 anni quando decide di prendere in mano l'attività che da generazioni apparteneva alla sua famiglia paterna, l'azienda agricola Balzo Rosso, al confine tra Altofonte e Belmonte Mezzagno. Iscritta all'università, dove frequenta la facoltà di Giurisprudenza, il suo sogno è fare l'avvocato.

«Forse - dice ridendo -. Per me è una vita fa. Neanche ricordo più ciò che volevo e facevo allora».

Dopo la morte del nonno, la famiglia Spera si trova a dover decidere se tenere e proseguire con l'azienda oppure vendere tutto. Marta non ci pensa due volte e prende la situazione in mano dicendo di voler gestire la struttura che fu del nonno.

Così lascia l'università e decide che la vita nei campi sarebbe stata il suo futuro. «Per me era un mondo del tutto nuovo. Ma l'azienda era la storia della mia famiglia, da generazioni e secoli. Non potevo permettere che chiudesse. E così decisi di occuparmene. L'ho fatto anche per mio nonno. So che sarebbe fiero di me».

Per Marta inizia così un periodo di duro lavoro, tra un mestiere da imparare ex novo, pregiudizi e stereotipi da cambiare.

Ma non si abbatte e prosegue per la sua strada. «Con lavoro e sacrificio, sono riuscita a fare ricredere tutti».

Orgoglio e determinazione l'hanno spinta ad andare avanti e a non arrendersi. La passione ha reso possibile tutto il resto. «Il mio è un mestiere che puoi fare solo se hai passione. La fatica è tanta e i guadagni non sempre sono proporzionati. Anzi».

La sveglia di Marta suona prestissimo ogni mattina, alle 4. Da dicembre a giugno si lavora 7 giorni su 7. Non ci sono weekend nè feste. Durante la giornata, che inizia all'alba e finisce all'ora di cena, si divide fra laboratorio caseario e gregge, costituito da 120 pecore e 70 capre.

«Come prima cosa inizio con la mungitura, che di solito viene fatta tutti i giorni, mattina e sera. Poi si passa al laboratorio, dove lavoro il latte appena munto. Alle 9 inizio il giro tra negozi e famiglie a cui porto ricotta calda e formaggi. Finita la vendita, ho da risolvere tutte le incombenze burocratiche e fiscali, come conti e fatture. La gente pensa che il lavoro del pastore sia solo campi e bestiame, ma non è così».

Nonostante la fatica, però «io amo tutto ciò che di speciale ha il mio lavoro - dice Marta -, come il rapporto autentico con la natura e il territorio». E il rispetto della terra, degli animali e dell'ambiente è il principio base del suo metodo di lavoro improntato alla qualità più che alla quantità. Potremmo provare a sintetizzarlo con "Meglio meno, ma più buono".

«La genuinità e autenticità sono i valori aggiunti dei miei prodotti. Gli animali vivono allo stato brado, secondo natura, il pascolo è spontaneo e i mangimi ridotti al minimo - spiega - Preferisco produrre meno ma con più qualità».

Intanto, anche la pastorizia risente delle difficoltà economiche post-pandemiche e degli aumenti dei prezzi di utenze e materie prime. «Tutti costi che non puoi riversare sui clienti ma devi cercare di ammortizzarli tu imprenditore".

Marta è giovane e ha una visione innovativa del settore agricolo. «Noi piccoli imprenditori agricoli abbiamo un solo modo di salvarci: fare rete e diversificare le nostre attività».

Un esempio concreto: «Insieme ad altre aziende agricole della provincia di Palermo, sto investendo in un progetto di turismo rurale ed esperenziale, Bio Food Tour, per la promozione dei territori di Belmonte Mezzagno, Altofonte, San Giuseppe Jato, Cammarata e Villalba. Ospitare nelle nostre aziende turisti o scolaresche per fare conoscere le realtà agricole locali».

Di anni ne sono passati, ma quando parla del suo lavoro la voce di Marta si riempie di gioia ed emozione. La sua è una passione innata, certamente ereditata.

Quando le chiediamo se preferisce essere chiamata donna pastore o pastora - l'uso del femminile per alcuni mestieri è spesso terreno di discussioni -, lei risponde senza alcun dubbio: «Chiamatemi come volete. Non è certo un nome a definirmi!».
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