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C'era una volta "Agrodolce": la soap opera siciliana che ha lasciato l'amaro in bocca

Delle tre serie previste solamente la prima andò in onda; furono soprattutto gli ascolti bassi, prevedibili all'inizio, a condurre il progetto lentamente su un binario morto

  • 26 luglio 2020

L'8 settembre dell'ormai lontano 2008 andava in onda su Rai 3, prima di "Un posto al sole", e non a caso la citiamo, la prima puntata della sorella siciliana della fiction partenopea dal titolo "Agrodolce".

Ve lo raccontiamo come una favola perché il progetto, fortemente voluto dal giornalista Gianni Minoli, con la partnership della Rai, della Regione Siciliana, che si era impegnata nel sostegno economico della realizzazione, e del produttore esecutivo Luca Josi, della Einstein Production, doveva avere un lieto fine, come nelle favole.

Cosi, come sappiamo, non fu per diversi motivi e, tutt'oggi, risultano ancora pendenti onorari da pagare al cast artistico e ai tecnici.

L'investimento totale per le tre edizioni è stato di 70 milioni di euro perché in definitiva Minoli non voleva realizzare una "soap opera", semmai un prodotto più vicino al grande schermo in termini di qualità e soprattutto con location esterne, che pesavano maggiormente sul bilancio, a differenza di "Un posto al sole" che è praticamente girato in un set perennemente allestito.
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L'obiettivo infatti era quello di valorizzare la Sicilia, offrendo comunque un prodotto televiso dal target popolare ma con la resa, più raffinata e ambiziosa, quasi cinematografica.

Delle tre serie previste solamente la prima andò in onda; sembrerebbe che furono soprattutto gli ascolti bassi, prevedibili all'inizio, a condurre il progetto lentamente su un binario morto e far si che i costi non potessero più essere giustificati.

Questo fu uno dei motivi che portarono ad una lite furibonda, finita in tribunale, tra lo stesso Minoli e il produttore esecutivo Josi: il risultato fu che una cinquantina di puntate, anche di qualità superiore perché la macchina si era rodata nel frattempo, già montate furono risposte nel cassetto. Di conseguenza la produzione si interruppe e 250 tra attori, maestranze e amministrativi, senza contare il resto della forza lavoro che portava il numero di persone a circa 900, persero il lavoro.

Dello stop al progetto, sul quale l'Isola aveva contato molto in termini di offerta lavoro e valorizzazione del territorio, se ne occuparono tutti i giornali e non ultima Striscia la notizia con un servizio di Stefania Petyx che definì, giustamente, "Agrodolce" un altro esempio di "incompiuta" siciliana.

«La sentenza dei giorni scorsi mi sembra assurda - ci ha detto l'attore Ernesto Maria Ponte che era nel cast di Agrodolce - mi sembra che l'Einstein Production sia un capro epsiatorio "azzizzato" per capirci. Penso che la Rai abbia non poche responsabilità nel fallimento di quello che avrebbe potuto essere un grande progetto per la Sicilia e soprattutto per gli artistici siciliani sempre obbligati ad andare fuori dall'Isola per far fortuna.

E poi la Rai, che non mi risulta essere fallita, avrebbe il dovere di assolvere alle pendenze economiche, relative ad Agrodolce, che ancora riguardano non solo me ma anche altre decine di lavoratori a vario titolo».

Nonostante la fiction sia andata in onda solo per una stagione aveva già "preso" il pubblico siciliano e anche quello oltre oceano: «Per quanto ancora ora mi chiedano del progetto - continua Ernesto Maria Ponte - ricordo sempre con nostalgia che poco dopo la messa in onda delle puntate andai a Brooklyn e tutti i siciliani lì mi chiamavano con il nome del mio personaggio segno che il prodotto era già molto amato.

Per questo ancora oggi sono incattivito per come sono andate le cose perché oltre alla fiction in sè sono sicuro che il progetto avrebbe creato intorno altre realtà lavorative e produttive. Ritengo quanto accaduto, per una volta non per responsabilità della Regione Siciliana, una vergogna per la Rai».
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