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I simboli della "piccola reggia di Palermo": il linguaggio (segreto) della Palazzina Cinese

Si dice che la Palazzina Cinese sia stata la dimora preferita del re Ferdinando e della regina Maria Carolina durante il loro esilio a Palermo, città che però non amarono

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 23 aprile 2024

Si dice che la Palazzina Cinese sia stata la dimora preferita del re Ferdinando e della regina Maria Carolina, durante la loro forzata permanenza in esilio a Palermo, città che non amarono mai.

La notte di Natale del 1798 la coppia reale sbarcò sull’Isola, con famiglia e corte al seguito, dopo esser fuggita da Napoli a causa dell’occupazione napoleonica. Sulla loro nave, guidata dal comandante britannico Horatio Nelson, erano stati messi in salvo i gioielli della corona, molti libri della biblioteca privata della sovrana, opere d’arte della reggia di Portici.

I Borbone si trasferirono nella casina cinese nel 1799, quando ancora non erano stati terminati i lavori di restauro (realizzati su una palazzina preesistente), eseguiti su progetto dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia.

Il "re nasone" amava la caccia e intorno alla Casina, forse anche per colmare la nostalgia che provava per la reggia di Portici, fondò una vasta tenuta di oltre 400 ettari, chiamata "Real Parco della Favorita", in onore della sua amante preferita, la nobile siciliana Lucia Migliaccio (che avrebbe sposato morganaticamente diversi anni dopo, nella Cappella Palatina).
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La Palazzina Cinese, di gusto eclettico, con la sua inconsueta commistione di stili differenti, all’interno unisce la moda per le cineserie con lo stile pompeiano e quello moresco; mentre all’esterno sono presenti archi gotici e torrette elicoidali realizzate da Giuseppe Patricolo.

I dipinti murali di gusto cinese si sviluppano in 4 ambienti: il salone dei ricevimenti, la "camera a dormire" del re, la camera di compagnia e la camera da pranzo con la tavola matematica (un automatismo che permetteva ai commensali di esser serviti, senza avere domestici ficcanaso intorno).

L’atmosfera è molto esotica: i personaggi, raffigurati con abiti a colori vivaci, ombrellini, ventagli, codini e strani copricapi, si muovono su sfondi architettonici o paesaggistici rarefatti, raccordati da ghirlande di fiori, draghi, serpenti, uccelli e altri animali simbolici come granchi e scorpioni.

La piccola reggia palermitana incarnava il gusto settecentesco, diffuso in tutta Europa, per la Cina e le cineserie; anche se nel Regno di Napoli la “cineseria” non ebbe larghissima diffusione come negli altri stati italiani e fu limitata alla Corte e all’alta aristocrazia, fu proprio qui che vennero realizzati due dei più interessanti e preziosi esempi: il salotto in porcellana alla reggia di Portici e la Palazzina nel Parco della Favorita.

Nel 1759 la madre di Ferdinando, la regina Amalia, volle creare nel suo appartamento privato un salottino con una ricchissima decorazione di stucchi e porcellana ispirate alla Cina. Non bisogna dimenticare che il nonno di Maria Amalia era Augusto II di Polonia, uno dei maggiori artefici della moda della cineseria in Europa.

Sia nel salotto di Portici che nella casina di Palermo la Cina tuttavia non venne rappresentata attraverso un lavoro filologico; non era quella di prima mano dei manufatti originali, importati a migliaia nel XVIII secolo attraverso il mercato olandese e britannico, era piuttosto un delizioso prodotto poetico di pura fantasia, un universo affascinante ma assolutamente reinventato.

Tra il 1802 e il 1805 a Palermo continuarono i lavori di ristrutturazione della Casina Cinese, nonostante i Borbone fossero tornati a Napoli; ma nel 1806 i sovrani sotto l’ennesima minaccia napoleonica finirono per rifugiarsi nuovamente a Palermo.

A partire da questo momento venivano realizzati i più importanti interventi decorativi pittorici (e simbolici), commissionati dal re e dalla regina a Giuseppe Velasco e a molti altri artisti, tra cui Vincenzo Riolo e Giuseppe Patania.

Nella palazzina Cinese ci sono dei simboli palesemente massonici. Maria Carolina era figlia di Maria Teresa d’Austria e del Granduca di Toscana Francesco Stefano, alchemico e massone. La Massoneria abolita nel Regno di Napoli nel 1751 dal cattolicissimo Carlo III di Borbone, padre di Ferdinando, trovò la protezione della regina Carolina, che si circondò a corte di uomini illuministi e massoni, favorì le logge e ne fondo’ anche una esclusivamente femminile.

Nel 1782 la regina chiese al pittore Furer di decorare la propria biblioteca alla reggia di Caserta con dipinti raffiguranti l’elogio delle arti e delle scienze. Il ciclo di affreschi si sviluppa secondo un percorso iniziatico che culmina con l’ingresso di un adepto a una loggia.

Tuttavia, dopo l’assassinio di Maria Antonietta, regina di Francia, nel 1793, la regina mutò bruscamente atteggiamento attribuendo la morte della amatissima sorella, alla massoneria e alla Rivoluzione. Contando su una fitta rete di spie, iniziò una vera e propria persecuzione di massoni e giacobini, condannandoli a morte.

A Palermo evidentemente questo odio si era in parte smorzato: Maria Carolina fece realizzare sia sulla facciata della Palazzina Cinese, sia su quella della guardiola che del tempietto alla cinese (oggi Museo Pitrè) l’immagine del serpente ouroboros: un serpente che si morde la coda, formando un cerchio senza fine né inizio. Il serpente ouroboros rappresenta il potere che divora e rigenera sé stesso, l'energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica delle cose.

La regina si fece ritrarre spesso inoltre sulle pareti della Palazzina Cinese: in un corteo processionale dipinto da Giuseppe Velasco; in un’“Allegoria” - dipinta da Vincenzo Riolo - con uno dei suoi bambini (ne ebbe 18) e nel medaglione a tempera del suo appartamento al secondo piano, con l’enigmatica scritta “me stesso”, nel quale emerge il carattere dell’androginia (uno dei simboli centrali dell'ermetismo alchemico era Rebis, letter. «due cose», l'androgino cosmico).

Molti sono i simboli che elogiano anche il sovrano: il drago, ad esempio - che nella cultura cinese rimanda simbolicamente all’imperatore - che è spesso raffigurato sia sulle volte che sulle pareti. In un affresco vediamo inoltre un uomo che si inchina davanti a un ventaglio su cui è dipinto un drago.

Nelle opere alchemiche è molto facile imbattersi nell’uso degli animali come simboli; nel soffitto della palazzina cinese sono spesso rappresentati uccelli (i pavoni con la coda aperta nella “camera a dormire” del re; aquile, civette, colombe); serpenti attorcigliati; l’elefante e persino creature fantastiche come pegaso, il cavallo alato o la sfinge.

La sfinge (simbolo complesso che racchiude informazioni criptiche) viene rappresentato sia come sfinge egizia che come sfinge greca (con viso e petto femminile e corpo leonino): si ritrova su alcuni mobili, sul soffitto e anche all’ingresso del parco della Favorita, dove si possono ammirare due grandi sfingi egiziane di marmo.

Tuttavia la presenza della vicina cappella in stile neoclassico sempre progettata dal Marvuglia potrebbe attestare la volontà della regina di onorare in ogni caso i due culti, sia quello esoterico massonico intriso di esotismo orientaleggiante, sia quello cattolico, facendoli convivere insieme.

Inoltre nonostante le pressioni della consorte, Ferdinando non volle mai avvicinarsi alla Massoneria.

Nel 1814 Maria Carolina, invisa agli inglesi, lasciò la Sicilia; si recò in Austria, paese natio, dove avviò i negoziati per rimettere sul trono napoletano il marito, ma morì l’8 aettembre, senza vedere la sconfitta definitiva di Napoleone, che si dice avesse affermato «La regina e’ l'unico uomo del Regno di Napoli».

Ferdinando tornò definitivamente a Napoli, come sovrano del Regno delle due Sicilie, dopo il Congresso di Vienna, abbandonando per sempre la Casina della Favorita, nonostante fosse considerata come “l’esemplare più raffinato di cineseria italiana del tardo Settecento”. (H. Honour)

Fonte: Marcella La Monica, La Palazzina Cinese di Palermo, tra decorazione e simbolismo, 2016.
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