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Brandi e Guttuso, storia di una amicizia

  • 30 ottobre 2006

Il rapporto fra critico e artista è da sempre un relazione inquieta, di frequente transitoria, che si nutre di grande stima o di critiche pungenti e distruttive. Le inclinazioni e gli interessi delle singole personalità hanno di solito la meglio sui semplici rapporti umani, e il confronto si esaurisce in un consumistico interpretare e farsi interpretare. Ma se l’incontro è fra due grandi intellettuali, Cesare Brandi e Renato Guttuso, personalità uniche che hanno modificato con il loro contributo il panorama della storia dell’arte del novecento, non può che nascere una storia di profonda amicizia.

Testimone di questo appassionato e ininterrotto rapporto tra il critico d’arte, nonché fondatore dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, e l’artista siciliano che con i suoi tanti realismi ha condizionato l’arte figurativa italiana è il libro dal titolo "Brandi Guttuso, storia di un’amicizia" curato da Fabio Carapezza Guttuso, edito da Electa, che raccoglie il carteggio iniziato nella metà degli anni trenta e mai interrotto fra i due intellettuali.

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Il testo è stato presentato nella suggestiva sede del Museo Guttuso di Villa Cattolica a Bagheria in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Cesare Brandi, che da Roma a Berlino, da Ferrara a Lisbona, da Parigi a San Paolo do Brasil, da Valencia a Buenos Aires con convegni tributi e seminari, hanno reso omaggio al padre del restauro moderno. Alla presentazione hanno preso parte Fabio Carapezza Guttuso, il sindaco di Bagheria Biagio Sciortino, la direttrice del museo Guttuso Dora Favatella Lo Cascio, Enrico Crispolti dell’Università di Siena, Giuseppe Basile dell’Istituto Centrale di Restauro di Roma e Luigi Russo dell’Università di Palermo.

Attraverso la lettura delle numerose lettere che Guttuso e Brandi si scambiarono, è possibile ricostruire e scoprire l’intensa amicizia, la stima profonda, che unì due personalità così “nettamente differenziate” e che si nutrì di accese critiche e lusinghiere approvazioni, di punti di vista discordanti e lunghi silenzi. Appunto perché come scrive lo stesso Brandi nella lettera del 7 luglio 1968 a Guttuso, «il silenzio fra noi: è inevitabile dopo trent’anni di amicizia fra due persone nettamente differenziate, che si producano delle pause».

Il carteggio iniziato a metà degli anni trenta continua fino alla guerra, si interrompe per otto anni, periodo che coincide con la diretta partecipazione di Guttuso alla Resistenza, e che vedrà i due intellettuali arroccarsi spesso su posizioni antitetiche. Le lettere di questo primo periodo consentono di entrare nel vivo del rapporto fra Brandi e Guttuso, relazione che dimostra non solo la stima reciproca fra i due, ma anche le profonde inquietudini artistiche ed esistenziali del pittore siciliano impegnato nella elaborazione di una nuova poetica espressiva e i consigli che l’amico senese, di sei anni più grande di lui, gli dà spronandolo a far sì «che l’uomo di carne non riduca a vivere troppo poco il pittore!».

Ma il rapporto si nutre anche della comune passione per il teatro e il balletto. Brandi apprezza la capacità dimostrata da Guttuso nella realizzazione delle scenografie e dei costumi per il balletto stravinskiano “Histoire du Soldat”, che inaugurerà un lunga serie di spettacoli ai quali Guttuso collaborerà. A colpire il critico è la compenetrazione tra musica e scene che il pittore siciliano riesce a realizzare. Il rapporto fra i due intellettuali si fa teso durante gli anni della guerra. Guttuso fonda il Fronte Nuovo delle Arti (1947) e molti dei giovani pittori di allora guarderanno a lui come indiscusso protagonista; Brandi non condivide molte delle scelte dell’amico e preferirà un silenzio - come nota Fabio Carapezza Guttuso – «dettato dal desiderio di preservare e non di troncare la loro amicizia facendo decantare le passioni ed evitando scontri sgradevoli».

Il dialogo si riaccende però in occasione della presentazione, alla XXVII Biennale di Venezia, del quadro di Guttuso “Boogie Woogie” (1953). Brandi dimostra di non condividere le ultime scelte stilistiche dell’amico, ma apprezza l’ardore figurativo dei disegni preparatori dove l’uso della matita e del pennello dimostrano «la presa di possesso su un oggetto sensorio, il tiro al volo, l’istantanea rapace che dona al tratto il concluso silenzio della forma».

Lo scambio di opinioni continua prolifico e profondo per entrambi, si basa sulla condivisione dei problemi che affliggono l’arte contemporanea, sul valore storico della cultura e della tradizione. Il 1968 con la contestazione giovanile, nonostante le profonde differenze di pensiero, li vede d’accordo nel sostenere il movimento di rivolta degli studenti. Gli anni settanta segnano la nascita dei grandi cicli pittorici di Guttuso, la serie dei tetti e dei paesaggi palermitani e siciliani, e Brandi apprezza la ritrovata capacità dell’artista di riprendere il «percorso incontro alla forma» attraverso la tecnica della visione dall’alto e della cerchiatura nera dei colori.

La salvaguardia dei beni artistici italiani risulta un altro dei territori comuni ai due amici che condividono la necessità di portare avanti la cura del grande patrimonio artistico italiano troppo spesso soggetto a totale incuria o a cattiva conservazione. La polemica si concentra anche sull’estrema facilità con cui il governo italiano tende a dare in prestito a paesi stranieri i capolavori del nostro paese. La mostra di Guttuso presso la Galleria Malborough Fine Art di Londra nel 1979, rappresenta l’occasione per Brandi di presentare per la prima volta pubblicamente l’opera dell’amico con un testo nel catalogo dell’esposizione. I toni del critico senese risultano entusiastico ,e individuano in una sorta di «realismo magico in cui le cose raffinate sono come le parole di un incantesimo che significano e non significano» la capacità di rappresentazione e costruzione formale guttusiana che contraddistingue le opere degli ultimi anni.

Riferendosi ai dipinti esposti dall’artista siciliano a Venezia nel 1982 presso Palazzo Grassi, Brandi parlerà di un realismo che non restituisce la speculare apparenza degli oggetti sulla tela, ma risulta «dal filtro dell’intelligenza» e restituisce una forma «che non sembra esibirsi, ma è sempre contenuta e attiva dal di dentro». Il critico conierà per l’amico Guttuso il termine di “realismo concezionale” indicando con ciò un realismo che si nutre e invera nel profondo rapporto che l’artista ha da sempre mantenuto con la sua Sicilia, terra che secondo Brandi «non accetta di essere velata, ma che si presenta e va adorata».

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