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Giacomo Cacciatore: Palermo dagli occhi di vetro

  • 25 febbraio 2007

“Ora Giovanni sa che in questa città le risposte a volte sono una dissolvenza in bianco dopo una scena cruciale. Il resto quello che rimane, non è mai meglio. Soltanto più grigio, più lento….”. Questa frase, tratta dall’ultimo romanzo di Giacomo Cacciatore “Figlio di vetro” (Editore Einaudi, pp.163, euro 14 ), è più di una valutazione del narratore, ma diventa per così dire il momento più corale dell’ultimo lavoro narrativo del nostro autore, esprimendo un sentimento in cui ogni lettore consapevole, che ha vissuto e vive a Palermo, non può fare a meno di condividere. Una percezione, per così dire gattopardiana, che appartiene ai tempi in cui siamo costretti a vivere, dove la “primavera” è una stagione ormai lontana, e dove un’atmosfera grigia e opprimente pesa su chiunque si sforzi di vivere nella legalità e nell’onestà, trovandosi costretto a fare i conti con un sistema che si regge su rapporti di tipo clientelare. Un libro che parla di mafia in modo diverso: “Scrivere di mafia, dopo tutto quello che si è detto e scritto, è come tentare di ridipingere la cappella Sistina. - così Cacciatore ha commentato le sue scelte tematiche - Io non sono arrivato a tanto: mi accontento di aver ridisegnato un puttino in una chiesa minore. Ma a modo mio: quindi in maniera originale, credo, perché è un punto di vista che mi appartiene. L’argomento, poi, è di quelli che prima o dopo uno scrittore di qui deve affrontare. Non che io mi sia forzato. E’ arrivato il mio momento di raccontare certe cose: così, spontaneamente, come poteva averle percepite un ragazzino palermitano della mia generazione, quella degli anni ’70.
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E come questo ragazzino può sentire il desiderio di esorcizzarle una volta cresciuto”. Questo bellissimo romanzo è un thriller corale che si snoda attorno alla figura di Giovanni Vetro, bambino, adolescente e infine adulto, che vive con coraggio e consapevolezza un dramma che è più che familiare: suo padre è un poliziotto venduto alla mafia ma è anche un uomo che ha un’altra famiglia, altri figli che ha tradito e lasciato soli, è un padre che non può essere un modello. L’ultima fatica narrativa dell’autore riesce a dare vita a una narrazione equilibrata, originale, fatta di personaggi a tutto tondo che si muovono su un intreccio quanto mai avvincente che non si abbandona ad atmosfere surreali, ma tiene i piedi ben piantati nella realtà. Interessanti ben legati a tutto il testo i riferimenti cinematografici: “Io sono un appassionato di cinema. Direi che per buona parte della mia vita ho visto le cose come da dietro l’obiettivo di una macchina da presa. – così lo scrittore ci ha spiegato le contaminazioni cinematografiche del suo libro - Era un modo per prendere le distanze dalla realtà, ma anche un espediente per dilatare i fatti, scomporli, interpretarli. Un libro che parla delle contraddizioni di una città: “Vivo da sempre a Palermo, è inevitabile che molto di quello che scrivo nasca da questo assunto. – conclude lo scrittore - E poi c’è la strage di Capaci: lo spartiacque, l’immagine cristallizzata di qualcosa che nessuno può né deve dimenticare. Ho concluso così, con un fatto storico, un romanzo che flirta con la cronaca e con l’allucinazione: due mondi che mi attraggono ugualmente, come individuo, come osservatore, come cittadino a spesso indignato, a volte desideroso di chiudere gli occhi e rifugiarmi nel sogno. Ma senza ignorare i fatti importanti, questo mai”.

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