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Il decennio glorioso della città irredenta

  • 23 ottobre 2006

Palermo città irredenta e irredimibile, eppure capace di imporsi a livello nazionale come capitale di fermenti culturali, artistici, intellettuali, pur tra mille contraddizioni che sembrano fare parte di una tara genetica irrisolvibile di questa terra. Palermo città dalla memoria corta, in una Sicilia laboratorio politico dell’intera penisola, e non solo politico, anche se con la sua irrimediabile peculiarità.

C’è stato un tempo in cui, chi l’avrebbe detto, da Palermo partivano alcuni degli esperimenti più interessanti pure nell’ambito culturale. E’ quello che racconta Marina Giordano in “Palermo ‘60”, ricostruzione storica-critica di quanto avvenne in quegli anni soprattutto nel campo delle arti visive. E in un certo modo, rivangare con la ricerca quel periodo rappresenta per chi non ne è a conoscenza è un fattore di sorpresa.

In questo senso, il libro di Marina Giordano è un’opera di restituzione. Da un lato restituisce ai protagonisti di quel tempo la memoria degli eventi che fecero (o tentarono di fare) grande la città. Dall’altro, la restituisce a chi, per ragioni anagrafiche soprattutto, non potè assistere a quell’epoca di attività e fervore culturale. Specialmente perché, oggi come allora, non è vero che in città “non c’è niente da fare”, semmai è vero che la maggior parte delle iniziative seguono una logica slegata, contraddittoria e spesso “sotterranea”.

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Un agile volume che affianca la ricerca dei fatti, delle opinioni e dei protagonisti (scandagliati attraverso documenti, articoli e testimonianze d’epoca) all’occhio lucido del critico d’arte. Il grande merito di Marina Giordano (coadiuvata in questo dalla bella prefazione di Eva Di Stefano) è di inquadrare il decennio d’oro delle arti visive accanto a ciò che di altrettanta importanza accadeva a Palermo negli altri campi delle arti e della cultura, dal Gruppo ’63 in letteratura alle “Settimane di nuova musica” nate per iniziativa di Antonino Titone e Francesco Agnello. Così come è importante la prospettiva storica: sono gli anni della speculazione edilizia, della mafia sempre più rampante con le prime stragi (la più clamorosa quella di Ciaculli), infine della contestazione.

Quattro le grandi esperienze scandagliate in “Paleremo ‘60”, di cui Marina Giordano mette in luce meriti e difetti, illusioni e delusioni. Impresa quasi unica fu quella della rivista “Collage”, prima “parlata” e poi edita su carta, laboratorio per intensi dibattiti sull’arte a 360°, che attraversò quasi tutto il decennio. Una delle tante occasioni perdute fu invece la “Biennale internazionale d’arte della Città di Paleremo”, tanto pubblicizzata quanto poi mai veramente all’altezza delle esigenze del territorio.

Il terzo capitolo, dedicato alle gallerie d’arte cittadine, mette in luce la voglia che molti artisti dell’epoca avevano di dare visibilità al proprio lavoro, al punto di aprire essi stessi numerosi punti per esporre. Alcune di quelle iniziative produssero risultati significativi a livello nazionale, salvo poi scontrarsi con mille difficoltà. Le istituzioni pubbliche quasi sempre si sono rivelate inefficienti al riguardo, come dimostra la difficile gestazione della Civica galleria d’arte moderna. Non mancarono comunque alcuni casi, sporadici e isolati, di grandi mostre che misero in luce l’estro siciliano: è il caso di “Arte contro la mafia” e delle due avanguardistiche “Revort”, a distanza di pochi anni l’una dall’altra. Marina Giordano ha risposto ad alcune domande di Balarm.it sul periodo raccontato nel suo libro.

La stagione degli anni sessanta a Palermo per ciò che riguarda arte e cultura è irripetibile?
Non è irripetibile, gli artisti continuano a lavorare, i fermenti creativi ci sono, ma c'è poco dialogo, poca volontà di confronto tra le parti, e sicuramente manca quel senso dell'utopia che animava allora, quel superare tutti gli ostacoli arrangiandosi, lasciando spazio alle proprie iniziative anche senza finanziamenti, spazi ufficiali, supporto delle istituzioni.

Qual è la situazione oggi? Che eredità, che lezione hanno lasciato (se l'hanno lasciata) quegli anni?
L'eredità sinceramente credo sia molto labile, perchè in mezzo ci sono stati anni in cui quell’afflato utopistico, quello spirito di fare avanguardia, di spezzare con i linguaggi tradizionali, di proporre qualcosa, ad esempio in musica, di nuovo che partisse e fosse promosso da Palermo, in cui tutte queste cose, dicevo, sono andate perdute o quasi. La situazione di oggi è un proliferare di mostre e iniziative, ma che solo in pochi casi lasciano il segno. Una cosa in comune con allora è che in pochi casi si pensò a costruire strutture stabili che potessero perdurare nel tempo, ma si badò molto alla realizzazione di eventi, che spesso venivano offerti al pubblico senza una sufficiente preparazione,e che quindi non venivano capiti a sufficienza.

Quali strade intraprendere per ripetersi ad alti livelli?
Avere più contatti nazionali o internazionali, ma senza quello spirito di sudditanza che spesso ci caratterizza e ci fa ricorrere al nome a effetto o agli artisti più trendy del sistema pensando poco a un rapporto con il territorio che deve essere maturo ma non provinciale; cercare di far dialogare operatori e istituzioni, superando quel ridicolo senso di antagonismo, quella “guerra tra poveri” che ammazza le forze più vitali invece di alimentarle, e poi, forse, riprendere a sognare…

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