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“Il lungo fiume di sangue”, reportage di omicidi mafiosi

  • 23 gennaio 2006

E' lunga e costellata di morte e sangue innocente la strada che la Sicilia ha percorso in questi ultimi cinquant’anni. Dal dopoguerra ad oggi la mafia come associazione criminale e fenomeno socio culturale è andata mutando, adattandosi a nuovi contesti e situazioni politico-economiche. Tutto ciò è analizzato con uno stile scarno e asciutto, privilegiando con attenzione i fatti e le cause, da Giuseppe Incandela, giornalista e un tempo collaboratore de “L’Ora”, nel suo ultimo libro dal titolo “Il lungo fiume di sangue” edito da Coppola (euro 12,50). Con i toni del reportage, l’autore traccia un percorso che dallo sbarco degli americani in Sicilia e l’accordo di questi ultimi con la mafia locale, ancora prettamente a carattere agrario, si snoda attraverso gli anni degli omicidi eccellenti come l’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa o di Pio La Torre, fino alla stagione delle stragi che portarono all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, di Francesca Morvillo e dei loro agenti di scorta. Un libro che attraversa mezzo secolo di storia di questa isola, devastata dal cancro mafioso diventato sempre più radicato per le gravi collusioni con le istituzioni. Un'analisi condotta con quella chiarezza e con quella memoria storica del giornalista navigato che ha vissuto in prima persona la cronaca di tali vicende, "annusando" e ascoltando come solo un cronista è capace di fare. Per il lettore più anziano è come sfogliare un album di fotografie consumate dal tempo, che ritrovano luce attraverso la narrazione che rende quegli eventi di nuovo vivi e vicini. A chi è giovane e forse non ha conoscenza dei fatti, questo breve saggio invece offre la possibilità di capire, comprendere e riflettere su un fenomeno in cui ogni particolare è una tessera fondamentale nella composizione del "puzzle mafia". Infatti con rigore ci inoltriamo negli anni quaranta e cinquanta, quelli della strage di Portella della Ginestra, nei suoi misteri ancora irrisolti e nelle morti che ancora aspettano giustizia.
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Continuiamo attraverso gli anni sessanta e settanta, attraverso le vicende del sacco di Palermo, della costruzione selvaggia e senza ritegno che cancellò per sempre ville e spazi verdi dalla nostra città, dell’amministrazione comunale Ciancimino. Percorriamo gli anni della mafia violenta, che promise guerra a tutti i funzionari dello Stato che decisero di combattere una battaglia persa in partenza, perché priva del necessario sostegno della gente troppo piegata alla cultura omertosa, e che uccise anche chi voleva andare controcorrente attraverso un’informazione libera. Tornano i nomi di Mauro De Mauro e Mario Francese, che pagarono con la propria vita la loro voglia di ricercare la verità, e quello di Peppino Impastato, che con la sua radio libera fece vacillare l’arroganza del boss Tano Badalamenti. Una lotta quindi su diversi fronti e con diversi strumenti, attraverso i giornali e i mass media, ma anche silente, come quella di don Pino Puglisi, che a Brancaccio cercò di avvicinare i giovani scardinando un sistema di valori basato sul non rispetto delle regole. Ed ecco poi la strage di Capaci e di Via D’Amelio, che portarono la gente in piazza, i lenzuoli alle finestre ed un risveglio della coscienza morale. In questo libro c’è tutto questo, oltre alle interviste agli esponenti delle istituzioni che questa lotta l’hanno combattuta e la combattono giorno dopo giorno.
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