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L'antimafia attraverso un "pizzino"

  • 11 dicembre 2006

Sono un’idea che Coppola Editore ha tenuto a battesimo con il nome “I pizzini della legalità”. L’iniziativa è realizzata attraverso brevi scritti, per testimoniare e divulgare la cultura antimafia. Molti sono stati (più o meno discutibili) i modi attraverso cui svolgere questa rivoluzione culturale, per accelerare il ricambio di mentalità, per affermare il principio perentorio della legalità, per riconquistare quella dignità svilita, verso tutti coloro che nati in questa isola, o essendone stati acquisiti, sono entrati a far parte del tessuto connettivo, anche a prezzo della vita.

Prendendo in prestito un pensiero di Mauro Rostagno, torinese d’origine, emigrante "al contrario", che in forza di questa fede e sete di cambiamento viene colpito dalla mafia il 26 settembre 1988: «Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena di trovare un posto». Sempre più spesso si registra un esodo di massa, la fuga dei cervelli. Sono le forze migliori, che magari non recidono il cordone ombelicale, ma per chi resta il contraccolpo è duro da digerire, tanta la rabbia. Combattere o piegarsi sul campo? Così è per un lavoro o per un pubblico servizio, che non si limita ad essere solo stato di necessità, bensì diritto in piena regola. Ognuno nel proprio ambito può qualcosa, unità e pensiero, entrambi basati sull’esempio.
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Si aprono così le porte all’iniziativa ed ecco il pensiero dell’Editore: che posso fare? Da qui lo strumento, semplicissimo, poverissimo perché minimalista, ma ricchissimo di idee e incoraggiamento, per dare circolarità alla concretezza e distribuire il seme migliore “senza dimenticare” e fare proliferare (magari in un domani non lontano) buoni e nuovi frutti (almeno si spera). Nascono così “I pizzini della Legalità”, in vendita a 2 euro cadauno, uno dei quali destinato a finanziare le attività del Comitato Addiopizzo (impegnato sul fronte anti-usura); perché il taglieggiamento delle attività produttive, oltre che essere odioso e silenzioso, è un reato che alimenta una tra le voci più attive del bilancio delle cosche (il sito del Comitato è www.addiopizzo.org).

Tali “pizzini”, che poi altro non sono se non dei blocchetti, impilati da anelli di plastica, dal formato inusuale (7x10,5 cm.), vagamente ricordano le agende tascabili dei giornalisti di nera della Palermo anni ’70-’80. Quelli, per intenderci, che andavano da un capo all’altro di una città cupa, in piena speculazione edilizia, cresciuta tra la mattanza di corpi freddati e fiumi di sangue, entrambi a ricomporsi tra fotoreportage e menabò delle pagine dei giornali dell’epoca. Ma i tempi cambiano e alla stagione stragista subentra la mutazione, il silenzio, per così dire, assordante. Oggi quasi tutto è “normale”, nessun morto ammazzato, che la violenza è roba da terroristi, ma è semplice apparenza e qualcuno non ci sta.

Con la cattura del ‘fantasma d Corleone’, il super latitante, il termine “pizzino” – da minuto pezzetto di carta: promemoria, annotazione, pensiero scritto – entra a far parte del gergo giornalistico (e probabilmente dello Zingarelli di domani). Quello del boss assoluto, però, assume una trasmutazione in negativo, perché mezzo prescelto a dare ordine e disposizioni di una diversa legalità, quella appunto mafiosa. Ed è in questa sorta di pax disarmata e silenziosa, che corrode lentamente dal di dentro la società nei suoi gangli vitali, che i “pizzini” sono stati il tumore, la metastasi, che ampliandosi ha corroso le cellule apparentemente non infette, del precario apparato socio-economico-politico di questa regione, sempre più (nel prossimo 2010 e con l’apertura dell’area di libero scambio) luogo di transito e centro del Mediterraneo. Adesso si inverte la tendenza e quel “miniscritto” vuole riconquistare la sua qualità. Essere un raggruppamento di idee, per far vincere la “vera” legalità.
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