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“La cena per farli conoscere”, l’ultimo regalo di Pupi Avati

  • 5 febbraio 2007

La cena per farli conoscere
Italia, 2006
Di Pupi Avati
Con Diego Abatantuono, Vanessa Incontrada, Violante Placido, Inés Sastre, Francesca Neri, Blas Roca Rey, Fabio Ferrari

Pupi Avati è uno degli ultimi illusionisti del nostro cinema. Per lui narrare con la macchina da presa vuol dire incantare, dosare con sapienza ragioni ed emozioni, indicando con grazia la qualità del mondo che ci circonda, con il disincanto di un antico sapiente che la sa lunga. Non è ottimista sull’attuale realtà italiana, Avati, e lo dimostra con il suo più recente “La cena per farli conoscere” che è venuto a presentare a Palermo accompagnato dal fratello produttore Antonio e dalle bellissime ed eleganti sue attrici, Francesca Neri e Violante Placido. Quest’ultima gravita attorno al protagonista maschile del film come “immagine” (così la presenta Avati) proiezione d’identità femminile che vive la propria dolorosa condizione di smarrimento e di dolore. Avati condivide con lei la tentazione esorcistica e un po’ infantile di fermare il tempo, di abbandonarsi ad una struggente nostalgia. E lo fa immergendo tutti i suoi protagonisti in uno scenario quasi fiabesco la Roma natalizia ed innevata nel cui ventre albergano fantasmi di un immaginario cinematografico riconducibili alla grande stagione agrodolce della commedia all’italiana. Così ci appaiano quasi familiari, sebbene illuminate da una luce nuova, le tre sorelle protagoniste che si conoscono poco e che vivono in città distanti tra loro: Inés (Inés Sastre) giornalista in carriera a Parigi, Clara (Vanessa Incontrada) pediatra che vive a Madrid e la romana Betty (Violante Placido) che delle tre è la più giovane.

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Tutte hanno a che fare con un solo uomo che è loro padre, Sandro Lanza (un ottimo Diego Abatantuono), un attore di soap - opera in declino che, spinto dalla vanità, si è sottoposto in Francia ad in intervento di chirurgia estetica che ha sortito un inquietante, sinistro effetto in puro stile Frankenstein, un occhio rimasto spalancato che potrebbe costringerlo a non esercitare più la professione. Sandro è costretto ad escogitare un piano disperato: un finto suicidio da sfruttare pubblicitariamente ad uso e consumo del gossip da rivista che si trasforma in un’occasione preziosa per ritrovare la complicità delle figlie tenute a distanza per ragioni di lavoro. La malinconica Capitale de “La cena per farli conoscere” è ammantata dalla soffice e jazzistica colonna sonora di un fedelissimo di Avati, Riz Ortolani. E suona sarcasticamente irrisorio il sottotitolo di “commedia sentimentale” in un film che affronta il tema di un sincopato dialogo generazionale raccontato con l’acuto cinismo caratteristica dello stile del più recente Avati che ci ha saputo evocare i chiaroscuri di pulsioni e passioni in film come “Regalo di Natale” e “Ultimo minuto” con un memorabile Ugo Tognazzi. Al mondo del gioco d’azzardo e del calcio corrotto qui il regista sovrappone quello dello zoo della neo - televisione qui rappresentata da un grottesco, patetico talk- show dove viene ospitato il protagonista e il cui conduttore perde i ciuffi del parrucchino (allusione maliziosa ad un possibile riscatto della realtà nei confronti della finzione devastante ed obnubilante).

Lo fa con i toni ironici e acri con i quali aveva stigmatizzato le perversioni del mondo del cinema in “Festival” con Massimo Boldi attore in disarmo. In un Italia segnata da antichi nuovi vizi, in balia delle irresistibili regole del conformismo e del profitto, ogni nevrosi collettiva ha i suoi riflessi nel privato disastrato di nuclei familiari sconvolti. L’unico punto di fuga è l’occasione di nuovi incontri come quello organizzato dalle tre sorelle, ritrovatesi nella villa di una di loro: una cena per fare unire papà Sandro con una donna intelligente e stimolante come Alma Kero (una sorprendente ed inedita Francesca Neri), un tipo di donna dalla quale si è tentati di fuggire. La cena del titolo è giostrata da Avati con divertita perizia: è un aspro confronto da commedia nera dove affiorano sentimenti contrastanti e persino qualche remota possibilità di conciliazione. La tradizione in cui s'inscrive il film è quella ormai riconosciuta come alta dei Monicelli e dei Risi (ampiamente citati nei dialoghi del film). E la storia non può avere un lieto fine (sarebbe un inutile effetto speciale) in un film che vuole ammonirci sugli attuali valori del bene e del male, tracciando il diagramma del comune nostro degrado derivato da un alienante, nostra pervicace incapacità di produrre civilizzazione. Per Avati non resta che affidarci ai sogni, contenitori di aspirazioni e desideri inappagati, possibili solamente in un altro tempo, in un’altra dimensione. Come il sogno di Sandro, uomo senza qualità, triste (ma in fondo simpatica) canaglia la cui maschera sarebbe stata apprezzata, e senza lifting, in un mondo migliore di quello dove gli è toccato vivere.

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