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Orchestra Sinfonica con Prokof’ev e Dvořák

  • 28 giugno 2005

A Palermo il weekend con l’Orchestra Sinfonica Siciliana si allunga: ai tre tradizionali appuntamenti del venerdì a Villa Malfitano (via Dante), del sabato a Palazzo d’Aumale (lungomare Peppino Impastato, Terrasini) e della domenica nell’atrio della Biblioteca Regionale (corso Vittorio Emanuele), questa settimana Antonio Manuli presenterà la musica ammaliante di Sergej Prokof’ev e Antonín Dvořák in anteprima per un’occasione particolare (biglietti al botteghino, 8 euro intero, 5 euro ridotto per “over 65” e “under 18”). Giovedì 30 giugno, infatti, la stagione estiva della nostra orchestra sinfonica sbarca al Teatro del Mare di Menfi, per la Sagra Inycon, un itinerario storico, culturale e gastronomico organizzato dal Comune di Menfi. Si arricchiscono dunque i fondali e le occasioni per ascoltare una musica diretta e festosa, senz’essere mai banale.

Anche questa settimana sarà il russo Sergej Prokof’ev (1891-1953) ad aprire il concerto, ma saranno molto diversi i pezzi che ascolteremo: “L’amour des trois oranges”, di cui potremo apprezzare una suite spesso presente nelle più importanti sale da concerto, è la seconda opera del compositore russo, composta nel 1919 ed eseguita la prima volta solo due anni più tardi a Chicago, dove si trovava il compositore in fuga dalla patria e da avvenimenti sanguinosi che non comprendeva. La genesi dell’opera ha una storia molto particolare: l’idea gli viene da un’omonima rivista pubblicata dal regista russo Vladimir Mejerchol’d, che d’altra parte aveva tratto ispirazione dalla prima fiaba teatrale del nostro Carlo Gozzi, antagonista di Goldoni sulla scena teatrale del ’700 veneto. Dell’originale di Gozzi, che a sua volta aveva adattato per la scena uno dei cunti del “Pentamerone” di Giovan Battista Basile, abbiamo soltanto una revisione che cerca di raccontare lo spettacolo, per cui la drammaturgia dell’opera non è solo un adattamento, ma è un vero e proprio testo originale in cui il compositore, insieme a Vera Janacopoulos, aveva cercato di enfatizzare gli aspetti più spettacolari e divertenti, che poi accentuerà nella selezione fatta in prima persona per la suite che potremo apprezzare in tutto il suo brio armonico e cromatico. È proprio questa “Suite” in sei parti – Les Ridicules, Scène infernale (jeu de cartes), Marche, Scherzo, Le Prince et la princesse, Fuite – che farà la fortuna dell’opera, a dispetto della stroncatura di Stravinsky, e girerà il mondo molto prima della ripresa definitiva consacrazione (in ambito internazionale con due direttori del calibro di Kent Nagano e Valery Gergiev). L’altro brano che ascolteremo di Prokof’ev è ancora una suite, “Lieutenant Kije” e non ha una storia meno curiosa. Il compositore, infatti, arrangiò questo brano sinfonico facendo ricorso alle musiche che aveva composto per un film che doveva mettere in ridicolo la figura dello zar Paolo I, figlio di Caterina la Grande, e che in realtà non venne mai realizzato. Il lavoro di ricamo sui pezzi già realizzati nel 1934 funse da sorta di biografia musicale di questo personaggio immaginario che dà il titolo all’opera, e la “Suite sinfonica op. 60” che ascolteremo segnò il ritorno ufficiale di Prokof’ev in patria, dopo la fuga che aveva dato origine all’ “Amore delle tre melarance” e il lungo (ma fruttuosissimo) peregrinare in Europa. Il “Lieutenant Kije” si compone di cinque parti: Nascita di Kije, Romanza, Matrimonio, Trojka, Funerale.

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Rimaniamo in area slava con Antonín Dvořák (1841-1904), uno tra i compositori cechi più noti ed amati delle nostre concert-hall (e da noi italiani forse troppo appiattito sulla nona sinfonia, “Dal nuovo mondo”). Ne ascolteremo la versione orchestrale della prima serie di “Danze slave”, op. 46. Si tratta di otto composizioni per pianoforte a quattro mani del 1878, con cui Dvořák ottenne un successo immediato e indiscusso nel panorama mitteleuropeo, sia nella versione cameristica che nella trascrizione immediatamente approntata per orchestra. La comunicatività e la facilità della musica, aristocratica e festosa, ma anche malinconica, determinarono un’immediata ricezione, favorita anche dalla precedente comparsa delle splendide “Danze ungheresi” di Johannes Brahms, a cui certamente Dvořák si ispirava. Motivi folklorici e raffinate armonie si fonderanno per una seconda serie di altre otto “Danze slave”, nel 1886, nell’ “Opera 72”. La prima e la seconda serie affronteranno con successo diverse trascrizioni musicali per gli organici più vari, segno della genialità del loro autore e delle possibilità espressive di questa musica.

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