CINEMA E TV

HomeNewsCulturaCinema e Tv

Quella delle "brioches"

  • 29 novembre 2006

MARIE ANTOINETTE
U.S.A., 2006
Di: Sofia Coppola
Con: Kirsten Dunst, Jason Schwartzman, Rip Torn, Judy Davis, Asia Argento, Marianne Faithfull, Danny Huston, Molly Shannon, Steve Coogan, Rose Byrne, Shirley Henderson, Jamie Dorman

A prima vista potrebbe ricordare lo Stanley Kubrick di “Barry Lyndon” o il più recente “Arca russa” del sommo Sokurov (il piano- sequenza mozzafiato girato dentro l’Ermitage di San Pietroburgo): in verità è più vicina allo stile dell’”Amadeus” di Milos Forman, la Sofia Coppola di questo “Marie Antoinette”, pregevole esperimento cinematografico che recupera, in maniera trasgressiva, un certo spirito post-moderno, mai completamente passato di moda. Guidata dalla stessa tensione creativa del padre Francis Ford, la regista c’introduce nelle stanze della Corte di Versailles per raccontare, reinventandola, l’ellittica vicenda terrena della regina solitaria, poco amata dal popolo francese (che la chiamò “l’austriaca”) e destinata alla ghigliottina rivoluzionaria, usando per commento musicale una clamorosa commistione di partiture settecentesche (Vivaldi, Couperin, Scarlatti, Rameau) con il sound contemporaneo dei Siouxsie & The Banshees, dei Cure, degli Air, dei New Order e di Aphex Twin.

Adv
Un’atmosfera rock-rococò per un esercizio di visionarietà controllata (memore della paterna lezione di “Un sogno lungo un giorno”, avveniristica commedia musicale con le canzoni di Tom Waits interpretate in coppia con Crystal Gayle) dove si rivela in tutta la sua dolce magnificenza l’appeal di Kirsten Dunst che fa una Maria Antonietta molto glamour, da copertina di “Vanity Fair”. Chi non conosce la storia apprende che la ragazza da "delfina” si ritrova a vivere nel lusso più sfrenato, catapultata dalla natia Austria alla corte di Versailles, finendo poi prigioniera di un matrimonio di lusso combinato dalla madre Maria Teresa d'Austria (qui incarnata dalla celebre cantante rock Marianne Faithfull) in combutta con il re Luigi XV (Rip Torn) per consolidare l’asse franco-germanico.

Matrimonio assai infelice poiché il futuro Luigi XVI (Jason Schwartzman) si rivela un marito distratto, pingue e vizioso, restio al talamo per sette lunghissimi anni. Partendo dall’ottima biografia, “Maria Antonietta. La solitudine di una regina” (Mondadori) di Antonia Fraser, la Coppola non gira un biopic tradizionale, ma un colorato puzzle dove evoca con accuratezza i cambiamenti di un’epoca, attraverso la parabola durata vent’anni di un’inquieta giovane regina che non riuscì a farsi amare nemmeno dalla propria corte, fermandosi, per il suo racconto, alle soglie del tragico epilogo del 1793 con la prigionia, il processo e l’impiccagione che ne seguirono. Il film è incentrato sull’analisi dell’inquietudine femminile e conferma la vena malinconica di Sofia dopo il sorprendente “Il giardino delle vergini suicide” e l’avvolgente “Lost in Translation”.

Un certo respiro alla Sokurov lo ritroviamo nella sequenza dove, con aria sbarazzina, Maria Antonietta corre per i lunghi corridoi di corte a contrasto con la triste e lenta camminata della stessa vestita di nero, durante il suo periodo infelice. Anche il paesaggio assume coloriture screziate, la luminosità degli interni a confronto con i chiaroscuri della cena della coppia regale fino al tenebroso periodo della rivolta popolare segnato dal celebre gesto della contrastata sovrana che, sporgendosi dal balcone, dà un drammatico segnale di cambiamento epocale. La Coppola così svela che la famosa, infelice battuta “Il popolo non ha pane? Che mangi brioches!” è una diceria-gossip dell’epoca.

Maria Antonietta aveva carisma da vendere (e lo dimostra la scena del teatro, quando il suo applauso riesce a coinvolgere fino all’ovazione un’intera platea) ma non ha potuto esercitarlo appieno: troppe le frustrazioni alimentate dalle nozze infelici, troppo poco l’amore sfogato attraverso un’unica, vera relazione clandestina col conte svedese Fersen (Jamie Dorman). Da qui l’ossessione per i dolciumi e soprattutto per le scarpe (firmate da Manolo Blahnik, le stesse indossate da Sarah Jessica Parker in “Sex and the City”) mentre le lettere della madre la invitano alla compostezza e alla regale sopportazione nel rivolgersi all’ingombrante favorita del re, Madame Du Barry (Asia Argento).

Insomma, ci pare ingiusto che un film così variegato ed intenso sia solo ricordato per la sequenza del ballo in maschera a ritmo rock che tanto ha scandalizzato certa critica francese durante le giornate dell’ultimo festival di Cannes, o per i magnifici costumi di Milena Canonero e le magistrali scenografie di K. K. Barrett. La componente spettacolare lascia spazio a raffinate notazioni intimistiche e la Coppola si rivela, ancora una volta, una sottile narratrice delle pulsioni femminili. Riguardo al contestato mix iconoclasta, perché allora non interpretarlo come un segno ammonitorio? Ovvero: le teste cadono, i tempi cambiano ma i problemi umani restano sempre gli stessi.

Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI