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The Good Shepherd, il mondo a misura di Cia

  • 30 aprile 2007

The Good Shepherd – L’ombra del potere
U.S.A., 2006
Di Robert De Niro
Con Matt Damon, Angelina Jolie, Alec Baldwin, Tammy Blanchard, Billy Crudup, Robert De Niro, Keir Dullea, Martina Gedeck, William Hurt, Timothy Hutton, Lee Pace, Eddie Redmayne, John Sessions, Oleg Stefan, John Turturro, Joe Pesci

Una carriera gloriosa, quella di Robert De Niro, la cui recente deriva ci ha riservato sorprese non sempre piacevoli: ruoli da protagonista gigione in film inadeguati al suo calibro, o marchette da guest star fatte in nome del dio denaro (una sorte riservata, in quel di Hollywood, a molti mostri sacri, Marlon Brando in testa). Ma a dispetto di quel che è facile pensare, e cioè che il nostro abbia perso l’interesse per il cinema, ecco un prodigioso colpo d’ala capace di conquistarci. Parliamo del ritorno di De Niro dietro la macchina da presa, dopo il precedente exploit di 15 anni fa con “Bronx”, un pregevole e controllato esercizio di stile che segnò il suo esordio come regista. Lì mostrava di avere ben appreso la lezione di Coppola e del suo mentore Martin, con una delicata storia d’apprendistato adolescenziale ambientata nel celebre quartiere a rischio della periferia mafiosa con Chazz Palminteri che era anche l’autore della pièce da cui il film derivava. L’impresa di “The Good Shepherd – L’ombra del potere” è però di ben diverso spessore. Presentata con successo all’ultima edizione della Berlinale dove ha conquistato un premio per il contributo artistico, l’ambiziosa pellicola vuole essere una mini - saga (della durata di due ore e quaranta minuti) capace di condensare il bene e (soprattutto) il male operato nei suoi primi anni dalla più potente organizzazione dei servizi segreti attivata nel Novecento trascorso, ovvero la CIA. La “missione impossibile” di De Niro regista riesce nel suo intento, grazie anche all’abile lavoro dello sceneggiatore Eric Roth (una delle migliori firme dell’attuale made in USA) che intesse con garbo la sua tela narrativa limitandosi ad evocare gli avvenimenti importanti e concentrandosi invece sulle vicissitudini dei suoi protagonisti.

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Il risultato è un affresco storico - esistenziale che ripercorre le frastagliate traiettorie dello sviluppo dell’organizzazione in un arco di tempo che va dal 1925 fino al 1961, l’anno della disastrosa operazione della Baia dei Porci, quella che il neo – presidente J.F.K. ereditò e fu costretto a governare prima della Crisi di Cuba. Il racconto del film procede a ritroso, per flashback, a partire da quell’episodio pericolosamente increscioso, incastonando private storie nella Storia ed evitando i vezzi di un ideologismo di maniera che rende ormai insopportabili docufilm come quello del nostro Giuseppe Ferrara che affrontò lo stesso tema nel suo “Faccia di spia” (1975). In questo film collettivo lo stesso De Niro si ritaglia un breve ma significativo ruolo, quello del generale democratico Bill Sullivan, capo dell’OSS (Uffici Servizi Strategici) che, ormai costretto da una malattia al riposo forzato, usa la propria autorevolezza per assecondare nuovi adepti dell’organizzazione come Edward Wilson, personaggio centrale della vicenda interpretato, con sensibilità e gusto per le sfumature, dal sempre più bravo Matt Damon. L’occhialuto Edward da studente modello di Yale, cultore di poesia e aria dimessa da futuro cittadino esemplare, entra dapprima a far parte della setta “Skull and Bones” e poi fa esperienza per sette lunghi anni in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale svolgendo mansioni per l’OSS, trovandosi così pronto per l’uso quando la CIA muove i suoi primi passi, da apparato di Stato nato dagli intrighi e dalle esigenze dei poteri forti.

Il “Buon Pastore” del titolo, Edward, diviene dunque una preziosa pedina per il gioco di nervi contro i “Rossi” del KGB, un agente efficiente e devoto fino allo spasimo, ma pure segnato dal suicidio del padre Thomas (Timothy Hutton) e dalla giovanile esperienza che lo condusse, per conto dell’FBI, a spiare il proprio professore d’Università (Michael Gambon) esibendo la giusta freddezza e determinazione, doti indispensabili per la futura professione. Prima di arrivare ad essere un buon addestratore di pecorelle smarrite, il nostro ha avuto il tempo di frequentare la dolce Laura affetta da sordità e fidanzata da occasione perduta (Tammy Blanchard, presenza da tenere d’occhio), per poi arrendersi al matrimonio con l’estroversa Clover (costretta in seguito a mutare il suo nome in Margaret Ann Russell), interpretata da un’intensa, bellissima Angelina Jolie. Esibendo soprattutto i sacrifici privati e le implacabili virtù di questa spia esemplare (le cui vicissitudini s’ispirano alla reale parabola di James Jesus Angleton), De Niro regista dirige con polso fermo e sensibilità speciale, conferendo respiro all’intricato (e spesso allusivo) evolversi dei fatti. Un respiro affannoso e sofferente, come quello del protagonista, antieroe di un Paese che per esorcizzare il Male ha bisogno di produrre altro Male: una teoria del disastro perennemente annunciato che, con o senza CIA, continua a determinare ancora oggi i destini del nostro povero Occidente spaventato dal proprio futuro.

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