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Un trittico eterogeneo al Loggiato San Bartolomeo

  • 11 dicembre 2006

Vi chiederete cosa avranno in comune le mani, il fuoco e la cera, il Mediterraneo. Concretamente nulla. Ma nella interessante esposizione al Loggiato San Bartolomeo costituiscono un percorso che riunisce l’opera di tre artisti profondamente differenti tra loro, che con la peculiarità della propria poetica e con tecniche dissimili, ci parlano di modi di vedere e di sentire eterocliti.
Fino all’8 gennaio 2007 il Loggiato (dal martedì al sabato dalle 16.30 alle 19.30; giovedì 10 -13 e 16.30-19.30; domenica 10-13) presenta, con il patrocinio della Provincia di Palermo, le installazioni di Gregorio Botta, le tele della romana Alessandra Giovannoni e i ritratti fotografici di Roberto Granata.

L’esposizione inizia, al piano inferiore, con la mostra fotografica "Le mani di Dio" del siciliano Roberto Granata. Colpisce immediatamente nei pannelli modulari che ritmicamente si susseguono sulla parete, che del tradizionale ritratto fotografico Granata ha dato una propria interpretazione personale. Le mani, i gesti, gli oggetti sono i veri protagonisti. Di volti ce ne sono pochi. L’organo tattile per eccellenza, è il veicolo attraverso il quale Granata ci presenta una carrellata di volti noti della letteratura, del cinema, dello spettacolo e dello sport, svelandone l’anima nascosta colta in un momento di creazione o riflessione.

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È come se attraverso il movimento delle mani, bloccato e immortalato nel quadrato dell’immagine, per un attimo potessimo entrare di soppiatto nell’atelier del pittore Schifano e sorprenderlo a misurare con pollice e indice i centimetri di una sua tela o osservare le mani sporche di creta di Manzù mentre rifinisce un busto di ragazza, o quelle nere per il carboncino dell’artista Philippe Pastor. O ancora partecipare al rituale “nodo” alle scarpette da ballo prima di entrare in scena di Carla Fracci, o alla composizione di un brano di Ennio Morricone.

Ma le mani stringono anche oggetti, quasi a possederli per sempre, come qualificazione estrema del personaggio ritratto: le mani nodose di Rita Levi Montalcini avvolgono un microscopio, quelle enormi di Gigi Buffon alzano al cielo un pallone, le rugose mani di Moravia premono tra le mani una biro e su un frammento di mare azzurro, i palmi di Franceso Alliata presentano una scintillante telecamera subacquea.

Salendo le scale del Loggiato un rettangolo di vetro, accoglie un frammento di carta di riso su cui l’artista napoletano Gregorio Botta, ha inciso con una calligrafia elegante la frase “Dove sei” che dà anche il titolo alla personale (catalogo della mostra a cura di Francesca Antonimi e Giovanna Caterina De Feo, con testi di Omar Calabrese, Lea Mattarella e Vincenzo Trione, Il Cigno GG Edizioni, Roma). Una fessura tra un piano e l’altro ci introduce al mondo silente, al tempo pausato delle installazioni di Botta.

I materiali privilegiati delle sue composizioni sono già qui tutte riuniti: il ferro, il pigmento allo stato puro, la cera e il fuoco. Il linguaggio di Botta mostra una matrice poverista, nell’utilizzo di elementi semplici e nell’attenzione alla trasformazione della materia, in cui si coglie l’eco di Kounellis, di Merz e di Calzolari. Ma l’utilizzo e l’accostamento di tali materiali, la volontà evidente di giocare sui contrasti, che sia la trasparenza del vetro o la malleabilità della cera, la durezza del ferro o la natura transeunte della fiamma, mostrano la costruzione di un mondo poetico in cui Botta costruisce sottili e instabili equilibri armonici.

Il movimento lento che ritroviamo nella fiammella delle candele, vibrante ai nostri spostamenti, la rotazione flemmatica di cilindri di ferro trafitti da piccole fiammelle, che alludono trasfigurandolo al corpo di San Sebastiano trapassato da frecce, o ancora uno squarcio quadrato ricoperto da tela grezza mossa da una corrente d’aria (concettuale rimando e omaggio alla Madonna del parto di Piero della Francesca), tutto contribuisce alla creazione di uno spazio indefinito, primordiale, profondamente lirico e a un tempo dilatato in un’estrema lentezza. E' come se Botta volesse mostrarci in queste composizioni le infinite trasformazioni che ogni elemento subisce a contatto con il mondo circostante e chiedesse – come afferma Omar Calabrese nel testo del catalogo – allo spettatore, quasi implorando, di vedere per lui, poiché la visione è sempre indefinita per l’essere umano.

Lasciando le atmosfere scure, metafisiche, illuminate dal solo lume delle candele di Botta, il piano superiore esplode colma di luce e tepore nelle tele della romana Alessandra Giovannoni che presentano nella personale Roma Mediterranea, una visione evanescente del paesaggio cittadino della capitale a cui si alternano spiagge e bagnanti (catalogo della mostra a cura di Francesca Antonimi e Giovanna Caterina De Feo con testi di Lea Mattarella e Roberto Savi, Il Cigno GG Edizioni, Roma).

Il taglio stretto e lungo delle ventitré tele esposte, i blu profondi, i viola, i bianchi opalescenti, le figure spesso colte di spalle, de-individualizzate, ridotte a pura sagoma, restituiscono una Roma che del caos e del rumore cittadino non ha più nulla. Villa borghese, il Pincio, Via Labicana, Palazzo del Quirinale diventano spazi solo intuiti, appena accennati da una pittura densa e voluttuosa in cui il tempo è dilatato, rallentato. Sono luoghi del silenzio in cui la luce satura l’atmosfera, una sorta di girato estivo – come lo ha definito Lea Mattarella nel testo in catalogo – dove fa sempre caldo, anche quando sembra abbia appena smesso di piovere.

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