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Nati da un ex feudo di una nobile famiglia: i frutti tropicali (e siciliani) amati all'estero

Vi raccontiamo la storia della famiglia Cupane, oggi simbolo d'eccellenza e innovazione. Una famiglia dalle origini palermitane e napoletane con radici nel titolo di baronato

Marcella Ruggeri
Giornalista e conduttrice Tg
  • 6 dicembre 2021

Felice e Maruzza Cupane

Quella che stiamo per raccontarvi è la storia (centenaria) di una famiglia, di origini palermitane e napoletane, che affonda le radici nel titolo di baronato e in un'antica produzione di limoni.

La padronanza scenica arriva a Rocca di Caprileone, in provincia di Messina est – ovest area Nebrodi, dove è dominante la Piana di Sant’Agata di Militello e Capo D’Orlando con una vocazione estremamente spiccata per la coltivazione degli agrumeti.

La famiglia Cupane dall’alto casato di un baronato ha potuto investire nel Dopoguerra in questo settore dividendosi un ex Feudo, grazie al nonno degli attuali imprenditori che si sono ammodernati con la produzione della frutta esotica negli ultimi sei anni, fino ad accaparrarsi il mercato nazionale da Roma in su e quello estero, in particolare Francia (quindi poi Olanda e Belgio), Austria e Germania.

Adesso dal 2004, ci sono il Direttore Generale della Cooperativa “Rocca di Caprileone” o “Roccacoop” Felice Cupane - 43enne che funge da catalizzatore e ha lasciato la libera professione da ingegnere elettronico (sfruttandone l’istinto di risolvere situazioni ostiche e schematiche) e l’agronoma Maruzza, 35 anni (laurea in Scienze e Tecniche dell’Agricoltura e dottorato in Frutticultura Mediterranea) con il pallino del progresso anche nella filiera alimentare.
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Nell’azienda, all’inizio, c’era anche l’altra sorella Francesca che seguiva il marketing e ha imboccato strade diverse dall’agricoltura, ovvero la comunicazione in altra società. Il loro nonno è riuscito a mantenere unita la famiglia con un equo frazionamento terriero, basandosi sugli agrumi tra figli, cugini e parenti; si è sempre progettato di affiancare ulteriori varietà ai classici limoni e alle arance tardive.

Dagli anni Sessanta agli anni Duemila, ci sono state delle sperimentazioni recepite molto bene dalla clientela quali un tipo di pesca, ibridi di clementina oppure il Kumquat o il lime (dal 2008) che è un agrume, per quanto tropicale, vicino alle corde della produzione primordiale. Anche il pompelmo rosa da circa 11 anni ha avuto un consenso di grossa portata.

Ultimamente anche il mango e l’avocado, nell’ambito di una ricerca dell’innovazione in un terreno predisposto all’agricoltura in un clima mite, con pochi sbalzi.

La titolare dell’azienda “Maria Cupane”, specializzata in frutti tropicali e sorta nel 2015, è Maruzza che si muove all’interno di una strategia di famiglia con il fratello che conduce e cura gli affari. Lei si è creata un marchio tutto suo, “MaruMango”, per la vendita online di avocado e mango ed è l’interfaccia comunicativo con l’esterno.

Il sistema di serra automatizzato unico in Sicilia (per questo genere di produzione) le ha permesso di acquisire eccellenza, incunearsi come “stella nascente” in una fetta occupazionale popolata solitamente solo da uomini e far crescere la fama della sua dinastia, tutelando tecnicamente i suoi “pargoli della natura”.

Ha vinto il “Premio Smau 2018” come Eccellenza italiana modello di Innovazione per Imprese e Pubbliche Amministrazioni e ha lavorato nel Consiglio Nazionale delle Ricerche, oltre ad essere introdotta nei Giovani di Confagricoltura Anga, e ad oggi lavora all'Assessorato regionale all'Agricoltura.

Il coordinamento delle produzioni in campo, il confezionamento e la commercializzazione viene guidato dai soci più importanti che sono rappresentati da questa frangia dei Cupane e diretti da Felice che ha ereditato questo ruolo con una robusta esperienza anche in Confagricoltura Sicilia, anche da Presidente.

Quando Felice parla della “sua azienda” in realtà intende una galassia tra ditte individuali, Srl, motivi storici, una serie di investitori e contributi che si sono generati col passare del tempo. Lo stesso manager ha una ditta individuale che porta il suo nome dirottata sulla produzione di avocado, un po’ dopo Maruzza.

Questa è stata l‘apripista per partecipare ad un bando nel 2015 (Piano di sviluppo rurale) che ha concesso dei fondi destinati a nuove coltivazioni per il cambio generazionale di giovani agricoltori. La scelta all’epoca è stata assunta come gruppo ma è stata lei ad attuare la conversione di questi sette ettari di appezzamento in un complessivo patrimonio terriero di famiglia che conta circa 140 ettari.

Si passa dagli uliveti con 40 ettari più nella zona collinare di Mirto, agli 90 ettari di agrumeti fino all’eccellenza dei frutti tropicali (circa 10 ettari più a Torrenova), in superfici dislocate tra Rocca, Acquedolci, Mirto, Torrenova. Queste proprietà sono condotte o dalla Srl di famiglia denominata “Tara” (come quella di “Via col Vento”) e tutta la restante parte della lavorazione viene curata dalla cooperativa con a capo Felice.

Il padre Antonio (classe ’49) di Felice e Maruzza prende in mano l’impresa, negli anni Settanta, subito dopo la Laurea in Economia ma poi decide di immergersi nel sentiero della docenza universitaria e ad occuparsi dell’azienda solo due volte a settimana.

Felice invece, nonostante la laurea piuttosto settoriale in Ingegneria, preferisce il profilo manageriale “full time” perché la passione verso l’elettronica si era affievolita. Potremmo definirlo un professionista “dell’ingegneria del business” e dell’amore dei campi però senza pentimenti verso la sua formazione.

«Vado in campagna meno di quanto vorrei - confessa – e faccio il pendolare tra Palermo e Rocca di Caprileone perché ho casa e famiglia nel capoluogo e l’azienda e altra abitazione di famiglia a Rocca dove lavoro ogni giorno. Non abbiamo mai pensato di investire sui noccioleti che sono stati un’eccellenza nel comprensorio dei Nebrodi e ad altitudini maggiori degli uliveti anche perché la loro produzione è stata in crisi per molti anni.

Ora c’è un ritorno con il biologico delle noci e delle mandorle. Noi stiamo valutando di più di trasformare un altro agrumeto al tropicale e procurarci altro terreno sempre nell’ottica del tropicale o al massimo altri agrumi. Vorremmo concentrarci sulla fascia frutticultura».

Da notare per esempio che l’avocado non è un frutto nuovo, ha un consumo mondiale da vent’anni, viene importato e ha un mercato quasi più vasto di quello dell’arancia. Il mango ha un mercato più di nicchia con necessità climatiche e territoriali più peculiari e ha un valore aggiunto abbastanza elevato.

Il Lime dei Caraibi è un’altra chicca della famiglia Cupane, mentre il frutto della passione dovrebbe essere una novità assoluta in questa area che deve essere vagliata entro il 2022. In questa annata sicuramente c’è la volontà da parte di Felice e famiglia di triplicare la produzione di tropicale acquistando altri 10 ettari di terreno.

Il paradosso per questa azienda che vanta una qualità superba di olio, agrumi e frutta tropicale che “non riesce a vendere un chilo di agrumi in Sicilia ma solo a partire dal centro Italia”, comunque dalla capitale in su.

È stata avviata una buona collaborazione per la Grande distribuzione con Esselunga (tramite Milano) che ha cominciato quest’anno la vendita di mango proprio con l’apporto dei Cupane. La Cooperativa realizza vendite dirette al cliente finale e rifornisce importanti gelaterie e locali e spacci “bio”, per esempio la famosa gelateria a Palermo “Cappadonia”.

Il commercio in Sicilia di questi prodotti risulta comunque complicato. È più facile approvvigionare nella sostanza il mercato straniero o altre regioni nella penisola. I contatti dei Cupane sono più settentrionali perché Felice sostiene che «il mercato di questa coltivazione in Sicilia, specie degli agrumi, sia pessimo.

Le eccellenze esistono e come ma parecchi agrumi arrivano da chissà dove per cui sono favorevole all’esportazione dei nostri prodotti bio altrove. I supermercati ospitano poca quantità di biologico nei loro spazi».

L’osservazione del banco frutta delle massicce catene la dice lunga sullo scarso volume di prodotti bio presenti. «Reperire belle arance in questi reparti espositivi è una utopia – aggiunge Felice - anche per i costi che dovrebbero essere maggiori rispetto alle coltivazioni standard. Anzi, a volte gli stessi scomparti appaiono molto tristi».

Il biologico non è sempre molto apprezzato in Sicilia (sarà ancora un problema culturale nei confronti del nuovo che non è più tanto nuovo ma che vuole scavare in metodi e tecnologie supplementare), ma per la squadra Cupane è una linea molto precisa da tenere e su cui non si transige. L'olio Cupane invece è gettonatissimo in Francia ed è costituito dalle cultivar Dop Valdemone quindi Minuta, Nasitana e Santagatese.

Per quest’ultimo prodotto i Cupane sono iscritti alla Dop Valdemome ma non hanno al momento un marchio commerciale per i supermercati, c’è stata un’esportazione per i ristoranti. Si intende diventare un equivalente per il vino di qualità nelle Enoteche e mai per la Grande Distribuzione per mantenere alto il concetto del biologico che è un progetto diffuso all’Estero.

La famiglia Cupane, storica, rilevante ed originaria di Mirto, risiede nei terreni di Rocca di Caprileone dal 1700, prima ricopriva un ruolo di amministratrice di altri feudi e per altri nobili della zona. L’acquisto dei propri e odierni appezzamenti risale al 1840 con una conduzione svolta in varie forme. Il potere manageriale comincia a farsi largo.

«Un mio antenato Francesco Cupane diventò primo magistrato nella corte del Re a Napoli - illustra Felice – e fece fortuna. Si comprò queste terre, ingrandì le ricchezze e comprò il palazzo a Palermo che ha il nome di famiglia ed è situato a piazzetta Montevergini. C’erano altre proprietà a Palermo ma con la Riforma agraria furono vendute.

A resistere solo quella di Rocca di Caprileone (che è quella delle radici familiari) e limitrofe. Rocca fu spartita con due grosse divisioni: una con sette eredi, l’altra con otto. Quella che rimase a mio nonno e ai suoi fratelli è fiorita e da scampolo di latifondo di 140 ettari diventò un’impresa più all’avanguardia, preservandola da assalti esterni. Io sto cercando di continuare il lavoro di transizione che da impiego a 60 dipendenti».

Il cuore imprenditoriale di Felice soggiorna nella Pianura mentre Mirto resta la storia, l’idea a cui è affezionato. C’è poco romanticismo nella sola idea di un luogo, ma c’è tanto pragmatismo e industriosità nel mettersi in gioco in cento modi e crescere senza avere sempre un parapetto di protezione.

Senza dubbio, gli abitanti di Caprileone in siciliano “crapitani” e di Rocca “roccuti” possono essere fieri dei loro “mezzi concittadini” ma tutta l’Isola può brindare alle velleità dei Cupane di potenziamento e di incrementare i loro frutti (in tutti i sensi) raggiungendo altri continenti, con cui fra l’altro per l’olio è stato aperto un dialogo.

Il nonno materno di Felice, Francesco Savagnone, era l'ingegnere elettronico predecessore che come il nipote ha preferito la carriera da dirigente" ma al Fondo Pensioni nella Cassa di Risparmio "Vittorio Emanuele" di Palermo. La madre, per quanto laureata in filosofia, ha sempre fatto la casalinga tirando su tre figli nell'agio di una vita palermitana.

Da tre generazioni, i Cupane sono stati trapiantati dalla nascita a Palermo, tant'è che Felice ricorda la tenuta di Rocca di Caprileone come la casa in cui passare le vacanze estive, poi per lui si è tradotta nella fonte del suo futuro. Nell'albero genealogico, c'è anche un botanico Cupane del 1600 che fu mandato dal Principe di Cattolica e curò l'Ortobotanico del capoluogo siciliano all'epoca di Linneo, quando si impiantò la Botanica Sistemica.

Felice pratica anche vela a livello agonistico realizzando regate in catamarano con un ex collega di università e si allena una volta a settimana a Sferracavallo nel Circolo Velico molto bello di Checco Bruni, il timoniere di Luna Rossa per intenderci. L'ultima gara: il Campionato del Mondo a Gaeta.

Trova anche il tempo di nuotare tutti i giorni all'ora di pranzo nello splendore di Rocca e si sveglia all'alba per correre o andare in bici. Il catamarano è il motore adrenalinico e divertente nell'iperattività della sua vita, comprese le tre figlie (di 14 anni, 13 e 6).

Secondo il Cupane pensiero, «Viviamo in Sicilia che ha mille difetti ma condizioni climatiche benedette e tutti dovrebbero imparare a dedicarsi agli sport acquatici. Dovremmo avere un rapporto col mare molto più stretto 12 mesi l'anno. Un pò come chi sta al nord Italia vicino alle montagne impara ad utilizzare gli sci, tutti in Sicilia dovrebbero saper andare in barca».

E aggiungiamo noi: magari portandosi la cesta di frutta esotica Cupane per un break.
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