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Né documentario né reportage: "Cityzen" è un film sulla vita al quartiere Zen di Palermo

Croci e speranze di insegnanti, operatori sociali, aspiranti rapper e giovanotti di strada che vogliono diventare famosi su youtube questo e altro è "Cityzen" di Ruggero Gabbai

  • 17 aprile 2018

Una vista sullo Zen di Palermo dall'alto

Si chiama “CityZen”, è del 2015 ed è andato in onda soltanto ad aprile 2018 (su SkyAtlantic, disponibile su on demand): parliamo del film di Ruggero Gabbai che, girato in otto anni e fermo per tre, cerca di osservare con un nuovo sguardo il quartiere palermitano Zen, spesso chiamato in causa come simbolo di degrado.

Questa volta, infatti, con "Cityzen" si vogliono puntare i riflettori sulla sua popolazione e, senza intenti giornalistici, raccontare la vita e le vite delle persone che abitano in questa isola.

Il regista vuole mostrare il quotidiano di una vera e propria “città stato” pienissima di energie, dove tutto è a portata di mano e non priva di sogni e ambizioni.

Lo Zen (Zona Espansione Nord), è un quartiere che sorge nella periferia palermitana alla fine degli anni Sessanta su progetto di Vittorio Gregotti, peculiare per la scelta delle “insulae” come struttura architettonica; rispettando tale scelta, Gabbai cerca di comprendere la natura insulare del quartiere, distante dai centri vicini, nonché della gente che lo abita, la quale spesso si ritrova a non uscire mai dai propri confini.
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E di confini, allo Zen, si è tanto parlato. Già infatti un anno dopo il film, il palermitano Francesco Faraci ha tentato, con la sua fotografia in bianco e nero, di ricostruire la vita dei giovani "malacarne": così vengono chiamati a Palermo i ragazzini che, tra disagi famigliari e assistenti sociali, sopravvivono in tutta la periferia palermitana.

Pieno di colori, invece, il film si pone inoltre come una più ampia metafora di una periferia italiana, con i suoi andirivieni, la sua gente, i suoi luoghi privilegiati, che sono più ampiamente le nostre vite, in un continuo scambio di sguardi, che si distaccano dall’inchiesta, sia quella più classica che, per citarne una atipica, quella di Maresco, che già delle periferie palermitane aveva offerto un pittoresco affresco politico con il suo “Belluscone”, nel 2014.

Così la lotta per la sopravvivenza, che spesso conduce alle carceri, assume un altro taglio, laddove la scuola superiore significhi possibilità di un lavoro, quindi di un futuro migliore lontano dalle sbarre e dalla delinquenza, che pure ad alcuni dei suoi più piccoli abitanti pare non interessare.

Lo testimonia la partecipazione, due anni fa, di alcune quinte classi elementari della Scuola Falcone al progetto di Pia Tramontana e Lina Lo Coco: una rivisitazione di “Costruiamo una città”, operetta di Paul Hindemit che tentava, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, di dare un senso alle macerie del suo Paese.

Dal pregiudizio, figlio di una fama non felice al riscatto dello Zen e forse di una idea che non tutto quel che sia isolato debba per forza rimanerci, con l’accompagnamento musicale di Marco Lo Russo e la produzione di Forma International e della Sicilia Film Commission. Nel cast, tra gli altri, Francesco Casisa e Giuseppe Dominici.
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