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Resta a Gangi e si inventa un mestiere che nessuno sa fare: ora è il mago del tamburo

È uno di quei personaggi autentici da conoscere. Un valore umano e artistico talmente alto da farlo entrare ufficialmente nel "Libro dei tesori umani viventi"

  • 8 gennaio 2020

Fabrizio Fazio - foto Arianna Di Romano

Fabrizio Fazio ha 32 anni e a lasciare il suo paese (com’è costretta a fare gran parte della sua generazione) non ci pensa proprio. Ha le radici ben piantate a Gangi, piccolo comune sulle Madonie in provincia di Palermo, e i suoi tamburi hanno calcato i palcoscenici di tutto il mondo.

Nel 2012 ha aperto una piccola bottega artigiana tra le facciate in pietra del centro storico, a pochi passi da Piazza del Popolo.

La sua non è la storia di un mestiere che si tramanda di padre in figlio. Fabrizio non è un figlio d’arte, il lavoro se lo è costruito letteralmente con le sue mani. È la storia del suo innato amore per il tamburo, per quel suono che per secoli ha scandito la vita delle comunità del sud e che i “tamburinara” custodiscono e tramandano.

Un colpo di fulmine scoccato da piccolissimo, con tanto di testimonianza fotografica appesa alla parete di fronte all’ingresso della sua bottega. Musicista praticamente da sempre, a Fabrizio non basta soltanto suonare. A 10 anni costruisce il suo primo tamburo e da quel momento non si è mai più fermato. Racimola informazioni, studia, prova. Il garage della nonna diventa il suo laboratorio di sperimentazione.
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«Ho imparato facendo. All’inizio i miei tamburi erano sempre storti e asimmetrici, poi, anche con l’aiuto dei musicisti stessi che mi facevano notare cosa non andava, mi sono perfezionato», racconta.

Oggi Fabrizio è uno dei rarissimi artigiani del tamburo, sempre più riconosciuto e apprezzato. Costruisce i suoi strumenti con estrema precisione a partire da tre elementi semplici, sublimando materiali di scarto. Il “crivo”, l’antico setaccio di legno, diventa la cassa su cui viene fissata, con colla e spilli, perlopiù la pelle della capra, l’animale più sonoro al mondo, trattata, attraverso un lungo processo che ne evita la putrefazione, con la calce e levigata con la pietra pomice.

I piattelli solo a volte sono di ottone, nella maggior parte dei casi li ricava ritagliando le latte della passata di pomodoro utilizzata dai pizzaioli della zona. Ne vengono fuori pezzi unici che suonano anche tra le mani di Fiorella Mannoia, Mario Incudine, Francesco Buzzurro, Biagio Antonacci, Richard Smith, Tosca, Renzo Arbore. Da Sanremo a Sidney.

Tamburi a cornice, tamburi sciamanici, imperiali, medievali, tammorre. I più piccoli hanno un diametro di 2 centimetri, il più grande di 1 metro e 40 centimetri. Il modo poetico in cui racconta le fasi di lavorazione a chiunque arrivi nella sua bottega, usando espressioni tipo «la pelle viene montata sulla cassa seguendo la costellazione» o «guarda, non sembra un sole?» la dice lunga sulla passione che mette nel suo lavoro.

«Non esistono neppure due piattelli uguali, sono ritagliati a mano, uno per uno e tra loro hanno tutti un suono leggermente diverso. Per non parlare della pelle. Ogni tamburo suona in maniera diversa, è come se avesse un’anima e una storia da raccontare». E infatti il nome della bottega è “La capra canta”, come quello del gruppo Facebook che riunisce musicisti, appassionati di musica e curiosi.

I suoi tamburi vengono commissionati da tutto il mondo. «Anche se via Internet, per me è fondamentale costruire un rapporto con l’artista che mi commissiona un lavoro. Devo capire quali sono le sue esigenze, di che tipo di sonorità ha bisogno così da costruirgli il tamburo che fa al caso suo, optando per una determinata altezza della cassa, diametro, spessore della pelle. La pelle di capretto per esempio è più sottile e restituisce un suono più acuto. Faccio di tutto comunque per portarli in bottega da qualsiasi parte mi contattino - dice ridendo - e tante volte ci riesco anche».

In effetti la sua bottega ha un valore umano, oltre che artistico, che ne fa un posto da visitare, facendosi spazio con i piedi tra i tamburi sul pavimento, per ascoltarlo mentre suona e racconta il suo lavoro con un entusiasmo contagioso.

Un valore umano e artistico talmente alto da farlo entrare ufficialmente nel "Libro dei tesori umani viventi" e nel "Libro dei mestieri, saperi e tecniche" del Registro delle eredità immateriali della Sicilia.

A sostenere la sua candidatura, oltre al Comune di Gangi con una delibera del 15 ottobre 2021, anche il cub per l'Unesco di Acireale che ha motivato così la decisione.

«L'unicità della Maestria - si legge nella nota inviata al comune dal presidente Nellina Ardizzone - è il frutto sostanziale di una vita intera e di una passione nutrita».

«Nel campo degli artigiani - spiega il sindaco di Gangi, Francesco Migliazzo - Fazio è una delle eccellenze e dei valori aggiunti della nostra comunità. Ammirato ed apprezzato a livello internazionale per la sua arte, capace di raccontare la storia del nostro borgo e delle Madonie, con la sua arte fa rivivire una tradizione antichissima».

Secondo la convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale (The Convention for Safeguarding of the Intagible Cultural Heritage), approvata dall'UNESCO il 17 ottobre 2003, le eredità immateriali sono «l'insieme delle pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e tecniche - nella forma di strumenti, oggetti, artefatti e luoghi ad essi associati - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui, riconoscono come parte del loro patrimonio culturale».

La loro tutela esprime un senso di continuità storica e costituisce un elemento essenziale dell'identità culturale di un territorio e della sua comunità.
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