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Strega forse, serial killer di certo: la storia di Giovanna Bonanno, la "Vecchia dell'Aceto"

Una storia che resiste nella memoria di Palermo: tra atti processuali, vicoli del centro storico e mito parliamo dell'avvelenatrice nota come la "Vecchia dell'Aceto"

  • 27 febbraio 2018

Tra le stradine e i vicoli del sesto quartiere di Palermo, quello della Zisa, la conoscevano tutti: la chiamavano mamma Anna e mentre secondo gli ufficiali e le forze dell'ordine si guadagnava del denaro passando le giornate a mendicare, in realtà la sua principale occupazione era creare filtri e pozioni, spacciandosi per una strega.

Giovanna Bonanno, ovvero "La Vecchia dell'Aceto", è una figura leggendaria di Palermo. Al pari di Giulia Tofana era un'assassina scaltra, forte di una cultura trasmessale dalla nonna e dalla madre che le avevano insegnato a leggere: un'abilità poco diffusa nel 1700, tra le strade dei quartieri popolari palermitani.

Il suo vero nome pare fosse Anna Pantò: si era sposata con tale Vincenzo Bonanno e di lui, poi, prese il cognome. Visse in assoluta povertà fino a quando non ebbe l'idea di reinventarsi come magara, armandosi di una borsa di vimini all'interno della quale portava in giro diversi "medicamenti", che rispondevano a diverse necessità.
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Chiaramente erano tutte falsità, ma l'intelligenza della Bonanno e la sua cultura erano tali da innescare della vera ammirazione negli abitanti dei bassifondi: il suo parlare forbito, unito alle frasi di alcuni libri che aveva abilmente imparato a memoria, li ingannava fino a farli rivolgere a lei quasi come se fosse un medico.

Nonostante tutto la Bonanno riusciva a tirar su solo pochi spicci, finché un giorno la sua sorte cambiò radicalmente: per puro caso scoprì che una bambina della zona aveva ingerito involontariamente una lozione contro i pidocchi e aveva iniziato a stare molto male.

In quel momento le venne in mente l'idea di creare e commercializzare il suo particolare veleno: l"Arcano Liquore Aceto", una mortale mistura di aceto per pidocchi, arsenico e vino bianco.

Il "target di riferimento" della Bonanno erano sposine fresche e mogli insoddisfatte: bastavano pochi sorsi del liquore, spacciabile per vino e dal sapore insospettabile, per mandare all'altro mondo mariti violenti, cattivi o semplicemente ritenuti insopportabili.

L'attività della "Vecchia dell'Aceto" continuò per diversi anni fino a che commise un errore: avvelenare il figlio di una sua carissima amica. Cercando di avvisarla per tempo confessò, scatenando le sue ire. Fu quel giorno che venne incastrata e consegnata alle forze dell'ordine. Gli atti raccontano che il suo processo iniziò nel 1788 davanti alla Regia Corte Capitaniale di Palermo.

La condanna riportata in primo grado fu confermata dal Tribunale della Gran Corte e il 30 luglio 1789 la storia della Bonanno si concluse con l'impiccagione in piazza Vigliena (i Quattro Canti) davanti a chi la conosceva ma anche sotto gli occhi di molti curiosi che ne tramandarono la storia attribuendole virtù magiche.
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