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Un lungo matrimonio nell'ombra della follia: l'ultimo incontro tra Pirandello e Nietta

Della loro storia ci rimangono 14 lettere che documentano un periodo importante della vita del giovane Luigi che si avvicinò ad Antonietta in modo romantico

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 27 agosto 2023

Luigi Pirandello e la moglie Antonietta

Dopo essersi laureato a Bonn, Luigi Pirandello si incontrò col padre, Stefano, che gli propose di sposare la bella e umbratile Antonietta Portulano.

Era figlia di Calogero Portulano, socio in affari di Stefano Pirandello che vedeva nel matrimonio tra Luigi ed Antonietta la possibile risoluzione dei suoi problemi economici. Si trattò quindi di un matrimonio combinato.

Prima di acconsentire Luigi Pirandello volle vedere la ragazza. Per l’occasione si progettò un incontro casuale fra le carrozze delle due famiglie lungo la strada tra Agrigento e Porto Empedocle.

Luigi rimase affascinato dalla sua bellezza. Vi fu tra i due un’intesa più fisica che spirituale. Della loro storia d’amore ci rimangono 14 lettere che documentano un periodo importante della vita del giovane Luigi alla vigilia delle nozze, dal 15 dicembre 1893 al 5 gennaio 1894, lo scrittore agrigentino vi esprime tutto il suo affetto per la giovane fidanzata.

Antonietta, educata dalle suore di San Vincenzo, ad Agrigento, leggeva e si sentiva smarrita di fronte a tanto ardore. Lui le parlava d' amore. E lei rispondeva in tono scontroso, rivelando la radicale diversità dei due caratteri.
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Nonostante la loro conoscenza fosse approvata dalle rispettive famiglie, lo scrittore si era accostato alla sua amata in modo romantico.

Prima delle nozze Pirandello ebbe pochissime occasioni di vedere Antonietta, e gli incontri furono sempre sorvegliati. Il padre di Antonietta era uomo gelosissimo, e di carattere duro. Nella mattinata del 27 gennaio del 1894, Luigi e Antonietta si sposarono, alle 9,15 presso la Casa Comunale di Girgenti, secondo le usanze del tempo.

Quindi si recarono nella Chiesa di S. Alfonso, accanto alla Biblioteca Lucchesiana, a due passi dalla Casa dei Portulano, in Via Duomo. Il beneficiale della Cattedrale Can. Giuseppe Bonelli li unì in matrimonio. Ventisei anni lui, ventidue lei.

Dopo la celebrazione i familiari e gli invitati li accompagnarono alla casetta del Caos per il banchetto di nozze.

Da quel giorno Antonietta entra veramente nella vita di Luigi Pirandello. Dopo una settimana gli sposi lasciarono il Caos e andarono a Roma dove lo scrittore insegnava e scriveva.

“Buona siesta, Nietta mia!” - così Luigi dedicava la prima edizione de Il turno, il suo secondo romanzo, alla moglie. Erano i primi tempi del matrimonio e tutto sembrava filare liscio.

"Dopo il primo rodaggio del matrimonio – si diceva – cominciarono a definirsi i limiti di entrambi. Presto lei ebbe coscienza che senza la sua dote il suo poeta non era capace di portare a casa nient'altro che parole.

Abituata a un esempio diverso, quello paterno, cominciò a valutare meglio l'uomo che aveva sposato, sempre chiuso nello studio a scrivere, privo di senso pratico, incapace di amministrare neppure quella rendita che la dote fruttava quadrimestralmente.

Per Nietta la stima era proporzionata alle capacità produttive, e il suo uomo le sembrava un fallito, buono solo a infastidirla quando, troppo spesso, come lei diceva, “era sotto la ninfa”, scrive Elio Providenti.

Luigi sentiva di non essere compreso. Dopo l'aborto di una bambina, che si doveva chiamare Caterina, come la madre di Luigi, e che rimase comunque molto cara ad Antonietta a distanza di due anni l'uno dall'altro, nacquero Stefano (1895), Rosalia Caterina (1897) e Calogero Fausto (1899).

La lontananza dalla Sicilia e la cura della prole generarono nella moglie di Pirandello i primi segnali d’instabilità psichica.

Proprio alla nascita di Fausto, Antonietta ebbe una crisi nervosa. Pirandello si allarmò ma fortunatamente, in breve tempo, tutto si risolse per il meglio.

“Nel 1903 accadde un fatto che avrebbe inciso in maniera decisiva sulla vita della famiglia di Pirandello. Un’alluvione provocò l’allagamento della zolfatara in cui il padre Stefano aveva investito i suoi averi.

Antonietta apprese la notizia per lettera.

Riporto un passo della biografia di Pirandello scritta magistralmente da Andrea Camilleri che racconta il momento in cui Antonietta legge la terribile lettera del suocero: “Era la fine e don Stefano scrisse tutto al figlio. Senonché la lettera, essendo Luigi a scuola [Pirandello in quel periodo lavorava come insegnante di Lettere presso un istituto femminile], venne consegnata ad Antonietta la quale, come abitualmente faceva, riconosciuta la grafia del suocero, l’aprì e la lesse.

Qualche ora appresso Luigi, tornando a casa, trovò Antonietta semiparalizzata sopra a una poltrona, gli occhi persi, distrutta. È l’inizio dichiarato di quella malattia mentale che avrà, nei primi anni, alti e bassi, ma che peggiorerà col passare del tempo".

Antonietta trascorse sei mesi a letto e iniziò poi a soffrire di crisi paranoiche da cui non si sarebbe più ripresa. I medici la sottoposero ad un elettroshock. La donna riprese a muoversi, ma fu indebolita a livello nervoso per sempre.

«Luigi, di ritorno da una passeggiata pomeridiana, trovò la moglie semiparalizzata a letto», scrive Gaspare Giudice nella biografia di Pirandello (Utet). La paresi era il primo attacco grave della malattia. Le difficoltà economiche vennero presto superate dai primi successi di Pirandello.

"Il fu Mattia Pascal", scritto proprio in quell’anno traumatico, venne pubblicato nel 1904 ottenendo grande successo. La composizione del romanzo «Il fu Mattia Pascal», agendo come una sorta di funzione terapeutica, attraverso l’auto-raccontarsi, avrebbe salvato lo scrittore agrigentino dal suicidio, dopo i problemi con la moglie Antonietta.

Questa la tesi di uno psichiatra e psicoanalista, Marcello F. Turno, in un volumetto con un titolo da cronaca nera, «Il mancato suicidio di Luigi Pirandello».

Nel 1908 Pirandello ottenne una cattedra di Lingua italiana e di stilistica all’Istituto superiore di magistero a Roma. Nel contempo, pubblicò due saggi molto significativi per comprendere il suo pensiero e la sua poetica: L’umorismo e Arte e scienza.

La gelosia di Antonietta per i successi del marito e soprattutto per la paura dei suoi tradimenti divenne una mania, e alla fine del 1903 iniziò a mostrare segni di squilibrio mentale. Ebbe attacchi di isteria e urlava di notte che Pirandello stava cercando di avvelenarla.

Un giorno, mentre era a letto, prese uno dei suoi anelli di diamante e iniziò a mangiarlo. Quando Pirandello le chiese perché, lei rispose: "Perché non voglio che tu lo dia ad un'altra donna".

La situazione divenne insostenibile. La morte di Calogero Portulano prima (1909) e la prigionia dei figli più tardi durante la Grande Guerra aggravarono le già precarie condizioni di salute di Antonietta. Con la morte di Calogero Portulano nel 1909 Antonietta erediterà una quota parte delle sue ricchezze che ne faranno un'agiata possidente.

A questo punto, che farsene di quell'inetto che scrive, scrive ed è sempre in bolletta? Pensava e diceva Antonietta con disprezzo e volle tornare in Sicilia ad amministrare le sue proprietà. Partì e portò con sé i figli.

Ma lì in Sicilia i rapporti di Antonietta con i suoi figli furono pessimi. Non solo le allieve e le attrici vengono viste come rivali, ma addirittura la loro figlia Lietta viene accusata di essere l’amante del marito.

Dapprima accusa la figlia di volerla avvelenare e la costringe ad assaggiare per prima i piatti preparati in casa. Poi arrivano le accuse ancor più pesanti da sopportare. Accuse di incesto tra il marito e la figlia.

Pirandello scrivendo alla sorella Lina che abitava a Firenze nel 1916 sottolinea: "La sciagurata donna che m'e' moglie, dopo aver martoriato dacché è tornata dalla Sicilia la mia povera Lietta, ora, in preda a una delle sue più terribili crisi s'e' voltata con inaudita ferocia contro di lei. E la mia povera bambina, presa d'orrore, in un momento di sconforto, s'e' chiusa in camera e ha tentato d'uccidersi. Per fortuna il colpo non è partito dalla rivoltella perché la capsula non è esplosa".

Pirandello prende in mano la situazione e decide di far internare la moglie nella clinica psichiatrica Villa Giuseppina sulla Nomentana a Roma.

"Antonietta non voleva farsi ricoverare, ma venne persuasa che per ottenere la separazione dal marito avesse bisogno di un documento che attestasse la sua integrità mentale: tale certificato poteva essere rilasciato solo da una casa di cura specializzata nelle malattie psichiatriche e nervose".

Venne certificato che il delirio di Antonietta Portulano si era esteso «in maniera impressionante con riferimento a tutto e a tutti»: la paziente soffriva di un «delirio sistemizzato di persecuzione», di «delirio di grandezza» e di «allucinazioni auditive» che la rendevano «pericolosa per sé e per gli altri».

Nei primi mesi Pirandello si recò spesso a trovare la moglie uscendo dalla clinica sempre sgomento per i deliri di persecuzione della moglie rivolti contro di lui.

"Ho una moglie, da cinque anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io, il che ti dimostra senz’altro che è una pazzia vera. Io, io che ho sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente, e per il mio lavoro, esiliato da tutto il consorzio umano, per non dare a lei, alla sua pazzia, il minimo pretesto d’adombrarsi. Ma non è giovato a nulla, purtroppo; perché nulla può giovare!".

Confessa Pirandello in una lettera a Ojetti, Lietta si stringe al padre e così scrive al fratello Stefano: “Papà, il nostro cuore e la nostra mente, quello che con l’esempio ci ha detto come si vive, secondo il dovere, che ha atteso un po’ di pace, un po’ di caldo, un po’ d’amore per tutti questi anni della sua vita […] avrà bisogno d’aiuto, e verranno i suoi giorni di fiacchezza, i giorni in cui avrà bisogno di tutto il nostro affetto e del poco di gioja che sapremo dargli".

Pirandello finì quindi per dedicarsi anima e corpo al proprio lavoro, alla stesura di novelle, romanzi e opere drammaturgiche e a viaggiare in lungo e largo per l’Italia e l’Europa.

La chiusura in una casa di riposo per malati mentali della madre, risultò molto sofferta da parte del figlio Stefano, che, nell'estate del 1924, affittata una villa a Monteluco di Spoleto, pensò di riprenderla in famiglia.

Pirandello nel 1933 rivide la moglie in un incontro organizzato sempre dal figlio Stefano nella villa.

Erano passati quasi tre lustri dall’ultimo incontro dello scrittore con la moglie: i due non si abbracciarono, ne si diedero la mano, ma rimasero a distanza, chiamandosi per nome e scrutandosi.

Uno dei figli di Stefano, Andrea, raccontò quell’ultimo incontro tra il nonno e la nonna: "Avevamo già consumato il pasto con lei; forse mio nonno aveva pranzato fuori. In casa nostra, la sala da pranzo comunicava con lo studio, senza bisogno di passare per il corridoio.

Finito di mangiare, non ricordo di preciso quando e come, venne aperto l’uscio e mio padre, sorridendo emozionato, invitò la nonna e tutti noi ad attraversarlo.

Lì nello studio era mio nonno, in piedi accanto alla scrivania e con la mano sulla spalliera di una sedia come fosse in attesa. Forse da un po’ rientrato a casa, aveva origliato per udire i nostri discorsi e soprattutto le parole della moglie di là dalla porta.

Pareva meravigliato, ma può darsi che fingesse. «Antonietta!». «Luigi!». Si chiamavano per nome l’uno l’altra, turbati. I due coniugi non si sarebbero più rivisti”. (Giovanni Fighera, Pirandello. Un personaggio in cerca d’autore. Una rilettura)

Morì il 17 dicembre 1959, 55 anni dopo, senza mai aver visto di nuovo il marito. Antonietta aveva 88 anni. È sepolta nel cimitero romano del Verano.
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