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Altro che tradimenti e hotel, qui si parla di "stigghiola": cosa c'entra Eufemia con la Sicilia

Qualcuno si è per caso chiesto cosa si cela dietro il nome Eufemia e che attinenza ha con la Sicilia? La storia inizia molto tempo fa e, precisamente, nell'antica Grecia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 28 febbraio 2021

"Il Sacrificio di Noè" di Michelangelo

Quando credevamo di avere esaurito le nostre angosce, convinti che il genio di Hitchcock avesse già raccontato tutto instillando in noi la paura degli alberghi con il sinistro Bates Motel di Psycho, ecco che, inaspettatamente, tra un colpo di “cornuto” e uno di “buttana”, si materializza dai nostri peggiori incubi una struttura assai più grottesca che nemmeno lo Stephen King dei tempi d’oro avrebbe saputo partorire: l’Eufemia Hotel.

Giochi di fuoco, ascolti alle stelle, la regina della televisione che preleva i protagonisti della questione Eufemia e li teletrasporta nel magico mondo di Oz insieme alla donna dalla lingua biforcuta, al figlio segreto del figlio segreto di uno che ha voluto mantenere la propria identità segreta e la donna cannone di De Gregori che dopo essere stata sparata nel 1983 è stata ritrovata e adesso campa con il reddito di cittadinanza.

Va bene, tutto bello questo, ma qualcuno si è per caso chiesto cosa si cela dietro il nome Eufemia e che attinenza ha con la Sicilia? Tutto parte da molto, molto, tempo fa; e precisamente dall’antica Grecia.
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La parola in questione e che oggi è diventata il fenomeno del momento, per quanto le corna facciano sempre la porca figura, era invece associata alla sfera dei sacrifici che si facevano per ingraziarsi le divinità.

Da che uomo s’è fatto uomo ha sempre imbastito una specie di rapporto di sudditanza in stile Fantozzi-Megadirettore Galattico con una qualche entità superiore che cercava di calmare o motivare con veri e propri atti di arruffianamento che spesso e volentieri culminavano nel sacrificio.

Ora, a prescindere dal tipo di religione, uno degli aspetti che accomuna quasi tutte le divinità è che andavano pazze per le fumazzate che si sviluppano dalla carne bruciata e sopratutto dal suo grasso proprio come il palermitano Doc viene attirato dal fumo delle stigghiola (questo processo prendeva il nome di olocausto). Nell’antico testamento, per la serie a cainni è cainni (la carne è carne), è proprio Dio a dare queste indicazioni a Mosè.

“Il Signore disse a Mosè: Da' quest'ordine agli Israeliti e di' loro: Avrete cura di presentarmi al tempo stabilito l'offerta, l'alimento dei miei sacrifici da consumare con il fuoco, soave profumo per me”.

Sempre il Signore ordina ad Abramo di dare in sacrificio suo figlio Isacco ma per fortuna proprio quando ha issato la lama al cielo e sta per sferrare il colpo esce da dietro un cespuglio l’angelo e lo ferma dicendogli: “Calmati bro’! Lì ci sono le telecamere, sei su scherzi a parte”.

Tuttavia il capolavoro dei capolavori resta e rimarrà per sempre Noè, quello dell’arca, che dopo quaranta giorni e quaranta notti di pioggia di quella che si allaga tutto il viale Regione Siciliana, e dopo tutta la fatica di raccogliere tutti gli animali esistenti sulla terra e trovargli un posto sopra l’arca che aveva pure dovuto costruire lui, che fa?

Vi riporto pari pari i versetti 20 e 21 del capitolo 8 della Genesi: “Noè costruì un altare al Signore; prese animali puri di ogni specie e uccelli puri di ogni specie e offrì olocausti sull’altare; il Signore sentì un odore soave”.

Proprio così, prima li salva e poi fa il più grande barbeque della storia in favore di Dio. E non finisce qui, sempre nella bibbia si parla di una divinità di nome Moloch, in cui credeva il popolo dei Cananei, ma anche adulato dai nostri amati Fenici che fondarono Palermo, che pretendeva in dono bambini, anche neonati, che prima venivano sgozzati e poi venivano offerti in olocausto sul fuoco.

Vabbè, direte voi, vai a vedere dove succedeva sta potente atrocità... eh no, pure in Sicilia e nello specifico a Mozia e a Solunto sono stati ritrovati dei Tofet.

A discapito del nome non erano dolcetti dell’antichità tipo “Ambrogio avrei voglia di leggero languorino, dovremmo tenere in auto uno di quei Ferrero Tofet”. I Tofet, che dir si voglia, erano invece dei veri e propri altari in cui i punici offrivano in olocausto proprio i bambini, sempre a Moloch, a Baal, o a Tanit, e a cui veniva fatta indossare una maschera sorridente così sembrava che morissero felici.

Pure lo storico Erodoto ci ricorda che dopo la vittoria di Himera nel 480 a.C. Gelone, tiranno di Siracusa, impose ai cartaginesi sconfitti, oltre che i debiti di guerra (botta di sale ai debiti!), pure di rinunciare ai sacrifici umani. Per fortuna non tutti i nostri antenati dominatori e visitatori facevano così schifo ed esisteva pure una categoria, quella più ampia, di sacrifici non cruenti.

Gli ebrei, che hanno popolato la Sicilia fino all’editto di espulsione del 1492, per esempio, avevano un rapporto così religioso con la scannatura degli animali che non potevano prendere i soldi per questo atto definito sacro. Per questo motivo quelli che lavoravano nei macelli si facevano pagare con le frattaglie che cucinavano e rivendevano: è proprio così che nasce il nostro panino con la milza di cui ho già parlato qui.

Nell’antica Grecia, come anche nelle polis siciliane, si sacrificava per tanti motivi diversi. Si sacrificava se scoppiava una pandemia, si sacrificava per vincere al superenalotto, si sacrificava per vincere una guerra, per avere avere una profezia, per fare piovere e per fare smettere di piovere e per le cerimonie religiose compresi i matrimoni (se proprio la dobbiamo dire tutta ancora oggi quando si fanno le scampagnate di quelle importanti c’è l’usanza di scannare per l’occasione).

Per tornare alla questione degli alberghi e del trash, che è il fulcro del nostro excursus, l’Eufemia, proprio tra i greci, altro non era che il momento di silenzio assoluto e sacrale che precedeva il sacrificio e che, evidentemente, non aveva niente a che vedere con le corna e con Barbarella D’Urso (botta di sale pure a lei!).

Inoltre, siccome i greci non erano meno degli ebrei, una parte della carne che veniva messa sul fuoco veniva poi consumata da chi assisteva, se si trattava di una cerimonia privata, o si offriva al popolo se la cerimonia era pubblica.

E siccome la parte più sacra per le divinità era il grasso e tutta la carne a cui il grasso era attaccato, ciò che si consumava erano proprio le frattaglie infilzate in delle stecche venivano lasciate ad arrostire sul fuoco. Se state pensando alle stigghiola palermitane (ovvero budella di vitello, agnello o capretto infilzate in uno spiedino) ci avete preso.

Nelle agorà greche delle polis siciliane non era affatto strano accompagnare le discussioni con i kokoretsi, delle vere e proprie stigghiola in versione Rocco Siffredi, cioè xxl, di cui i siciliani erano già ghiotti e che ancora oggi si mangiano in Grecia e in varie parti del Mediterraneo Ionico.
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