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Forti e coraggiose: chi sono le agrigentine che hanno segnato la storia della città

Le agrigentine vennero ammirate per la loro straordinaria bellezza dal pittore greco Zeusi, altre si sono imposte più tardi per il loro ruolo politico e religioso

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 14 settembre 2021

La festa di Persefone nel 1928

Non è mai mancato nelle varie epoche storiche il protagonismo femminile ad Agrigento.

Le agrigentine vennero ammirate per la loro straordinaria bellezza dal celebre pittore greco Zeusi, chiamato ad Akragas per dipingere un quadro che rappresentasse la dea Giunone, da esporre nel tempio a lei dedicato, volle prima esaminare le fanciulle agrigentine nude.

Quindi ne scelse cinque come modelle, affinché la pittura rendesse ciò che c’era di più bello in ciascuna di loro e realizzò così una delle più splendide opere artistiche tra quelle in cui si ammiravano le grazie femminili nell’antichità.

Di recente, scavi archeologici ci hanno restituito una bella ragazza agrigentina di seimila anni fa, che hanno voluto chiamare Sofia. Il suo volto e stato con un programma di grafica tridimensionali da scienziati di una università americana.

Presenta zigomi alti e mascella squadrata, ma lineamenti molto eleganti. I capelli sono folti e sono stati adornati da conchiglie al momento della sepoltura. Le donne agrigentine vennero soprattutto ammirate nel passato per il coraggio di una di loro, Damareta, la figlia di Terone, tiranno d’Akragas, sposa di Gelone, tiranno di Siracusa.
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Dopo che Akragas sconfisse i Cartaginesi, nella battaglia di Imera del 480 a. C., Damareta ebbe un ruolo fondamentale nelle trattative per la pace, imponendo, fra l’altro, agli sconfitti di non sacrificare mai più bambini alle loro divinità. E’ divenuta per tale impegno un simbolo di pace.

Altre celebri donne si sono imposte nella storia della città più tardi per il ruolo politico e religioso che hanno avuto in momenti cruciali della storia civile e religiosa, come Marchisia Prefoglio, moglie di Federico Chiaramonte, capostipite di una potente famiglia siciliana.

Marchisia fondò il partenio di Santo Spirito, come attesta l’atto di donazione del 27 agosto 1299 stipulato presso il notaio Giovanni di Amarea di Girgenti: «Quella dinanzi a noi Marchisia Prefoglio... del nostro patrimonio abbiamo fondato e faremo fondare in detta città agrigentina dentro le sue mura un Monastero di Santo Spirito».

È diventato uno dei più grandi e celebri monasteri cistercensi del meridione. Altre agrigentine non sopportarono la tirannia dei Borbone in Sicilia e parteciparono ai moti che portarono alla liberazione dell’isola nel 1860.

Non potendo seguire i suoi fratelli nell’azione rivoluzionaria, la coraggiosa Caterina Ricci Gramitto, volle comunque dare il suo contributo e, rischiando la vita, cucì, in un sottoscala, la prima bandiera tricolore che sia mai sventolata ad Agrigento, ed una delle prime in Sicilia.

Il 4 aprile 1860, un mese prima dell’arrivo dei garibaldini nell’isola, sfidando il presidio borbonico, venne issata nel centro cittadino, dai fratelli di Caterina, che la posero in pugno ad una statua che ancora si trova nella faccia della Chiesa di San Lorenzo (detta del Purgatorio) e dove una stele di marmo ricorda ancora la coraggiosa impresa.

La fanciulla pochi anni dopo andò in sposa al garibaldino Stefano Pirandello e fu poi la madre di Luigi Pirandello, a cui ha trasmesso i suo valori patriottici, come lo scrittore agrigentino scrisse nella dedica al romanzo storico, “I vecchi e i giovani”, dove ricorda il coraggioso episodio e i rischi corsi dai suoi avi nella lotta contro i Borboni.

Nel 1906, poco dopo che, nel febbraio di quell’anno, per la prima volta a Milano le suffragette italiane organizzarono il primo comizio tutto al femminile per chiedere il diritto al voto, ad Agrigento, Accursia Pumilia, di anni 26, maestra, figlia di un noto avvocato socialista agrigentino, salì le scale del palazzo della Prefettura per chiedere di essere iscritta nelle liste elettorali.

Fu cacciata e minacciata di finire in prigione. Fu una la prima dimostrazione di una donna in Sicilia intesa ad affermare il diritto al voto. Solo nel 1946 con il referendum le donne potranno votare.

Sono sempre agrigentine le donne borghesi che, per il risveglio culturale e la promozione umana e sociale delle altre donne, fondarono nei primi anni del Novecento uno dei primi movimenti femministi italiani: l’Unione femminile girgentina.

Diedero vita ad una scuola estiva per le donne che volevano migliorare la loro cultura elementare e tante altre iniziative per il loro riscatto morale e sociale, come i laboratori di cucito, di maglieria e di ricamo. Si distinse in queste attività la professoressa agrigentina Rosina Vadalà.

Le donne dell’Unione ebbero un ruolo di primo piano nell’organizzazione di un convegno nazionale tenutosi ad Agrigento nel 1911 sull’analfabetismo e la delinquenza.

E se non agrigentina di nascita certo di adozione è stata Vittoria Giunti, diventata prima cittadina di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento.

È stata la prima donna a guidare un paese in Sicilia, come sindaco, la terza in tutta Italia. Nell'anno in cui, per la prima volta, le donne hanno potuto votare.

«Vittoria Giunti guidò le donne che aprivano i cortei, affinché i gabellotti mafiosi non potessero usare violenza nella vera guerra civile siciliana, in cui si contarono più di duemila morti», ricorda il suo biografo Gaetano Alessi.

Di recente l’ispettore capo Maria Rosa Volpe, oggi in pensione, è stata insignita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Dal 1996 responsabile dell’ufficio Minori della Questura di Agrigento, si è occupata dei minori non accompagnati, offrendo loro non soltanto beni materiali, ma il conforto materno e calore umano di cui i piccoli migranti necessitano più di ogni altra cosa.

Il 10 novembre del 1987 stata una delle prime donne ad indossare la divisa.

«Sistemiamo nelle comunità i bambini che arrivano senza genitori, o perché morti o perché sono rimasti nella loro terra - ha raccontato l’ispettore della polizia in un programma televisivo della Rai - L'incontro degli sguardi dei bambini è qualcosa che ti rimane dentro».
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