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"E li chiamano disabili", storie di coraggio e vitalità

  • 20 febbraio 2006

Nell’immagine di copertina riconosci una donna che danza. Lunghi capelli ricci, gambe sinuose. Bellissima. Solo dopo ti accorgi che questa “libellula” è un “angelo senza ali”, una ballerina sì, ma senza braccia. «E’ nata così, le sue braccia sono rimaste in Cielo, ma nessuno ha fatto tragedie». La danzatrice si chiama Simona Atzori, e viene dalla Boemia. Rappresenta l’emblema dell’ultimo straordinario libro, illustrato, di Candido CannavòE li chiamano disabili” (pp. 252, euro 16,00), uscito qualche mese fa per i tipi della Rizzoli. Presentato recentemente a Catania, la città natale dell’autore, questo volume sta avendo un’eco gigantesca, per come merita. Candido Cannavò, giornalista, è noto a tutti per avere diretto per circa vent’anni la “Gazzetta dello Sport” facendola diventare il più diffuso quotidiano sportivo d’Europa, e per avere scritto il best seller “Una vita in rosa”, e “Libertà dietro le sbarre” che ha meritato un riconoscimento speciale nell’ambito del premio Ernest Hemingway. Ma in quest’ultima fatica letteraria si è davvero superato. Soprattutto per il prezioso ribaltamento di prospettiva con cui si è prestato ad intraprendere il “viaggio”, non nel mondo dell’“handicap” ma di quelli che potremo definire i “diversabili”. Un’esplorazione – ha riconosciuto il sindaco di Roma, Walter Veltroni, in prefazione – che non è stata cioè vissuta attraverso lo stereotipo di un viaggio nel dolore e nell’angoscia, ma che è andata alla ricerca della bellezza e della forza vitale espressa nel mondo dei diversamente abili. Nel ventre del testo si trovano custodite, infatti, ben sedici storie di vita vissuta, di uomini e donne che hanno trovato non solo la forza e il coraggio d’affrontare la loro disabilità, ma la grinta per farne quasi una virtù, uno stimolo ulteriore per imprese più grandi.

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Candido Cannavò ha raccolto queste storie viaggiando in lungo e in largo per l’Italia. Ma non si è saziato di conoscere solo le vicende e i protagonisti, ha voluto condividere con loro un pezzetto di vita, e ha avuto poi l’abilità di riportarci ogni parola, sensazione, sussulto per intero, nelle pagine del testo. Fin dalle prime righe si viene, infatti, scossi dal torpore quotidiano e catapultati sottobraccio a conoscere Simona - si è citata all’inizio -, ragazza priva di braccia, in grado di esprimere sensualità e femminilità e talento sia nel ballo che nella pittura: «penso che talvolta i veri limiti esistano in chi ci guarda». Poi è la volta di Felice Tagliaferri, lo scultore cieco che ha “gli occhi sulla punta delle dita”, un estroverso naturale, che insegna nelle scuole, e ai ragazzi è solito dire: «voi mi guardate come un uomo sfortunato e avete ragione perché sono cieco. Ma io vi dimostro che anche un uomo sfortunato può insegnarvi qualcosa». E’ lunga la galleria che popola l’ultimo libro di Cannavò. C’è Claudio Imprudente, “guerriero nella sua mobilità assoluta, studioso e lettore accanito grazie ad un apparecchio sfoglialibri, scrittore senza poter adoperare le mani, conferenziere pur privo totalmente del bene della parola”, che ha comunicato con l’autore tramite un’ingegnosa lavagnetta trasparente in plexiglas. Ha scritto sei libri, comprese due favole per spiegare ai bambini il valore della diversità: «i bambini devono abituarsi subito a convivere serenamente con la diversità, a conoscere non solo le difficoltà, ma anche i valori».

Sempre per mano, Cannavò ci accompagna a conoscere Paolo Anibaldi, un bel ragazzone se lo si potesse vedere per intero. Peccato che le sue gambe si siano dimesse dal corpo quando lui era più che un ragazzo. Da un giorno all’altro: paraplegico. A dispetto di ciò, Anibaldi non ha perso vitalità: è oggi un chirurgo presso l’ospedale di Rieti, ed è anche sindaco del Comune di Sant’Angelo (Rieti). Suona il clarinetto, ama e pratica ogni tipo di sport: «non c’è nessuna ragione per lasciarsi andare solo perché la sorte ti ha dirottato su una sedia a rotelle. Io magari esagero, ma non è una sfida fine a se stessa. E’ un modo di affrontare la vita, magari con qualcosa in più degli altri che hanno le gambe, braccia, e tutto il resto». E come non citare la storia dello scienziato Fulvio Frisone, due occhi penetranti e una mente geniale in un corpo affetto da tetraparesi spastica, e sua madre Lucia, una donna da combattimento che viaggia in ogni parte della Terra con il figlio che, a trentanove anni, è uno dei teorici della fisica più ricercati del mondo. Lucia ha lottato anche perché Fulvio, “benedizione di Dio”, godesse a pieno della sua sessualità. Come darle torto? E si potrebbe continuare ancora per molto: perchè gli spunti che si ricevono dal testo sono infiniti. Cannavò, da eccellente giornalista, ha saputo raccogliere storie che ti rapiscono l’anima, te la sconquassano e ricompongono, con lo scopo di affinarti lo sguardo. I personaggi raccontati - conclude, in prefazione, Walter Veltroni - «ci impongono il rispetto e l’attenzione verso chi, da una posizione differente e svantaggiata, ci dimostra di essere in grado di insegnarci volontà e forza vitale, quella forza che è in tutto e per tutto una risorsa preziosa per la nostra società, per la nostra consapevolezza di esser umani». “E li chiamano disabili” oltre che in formato cartaceo, si ha da poco la fortuna d’averlo anche in formato braille per i non vedenti. Per averne una copia, basta contattare la Stamperia Regionale Braille dell’Unione Italiana Ciechi: telefono 095/553489, e-mail stampbr@uiciechi.it.

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