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Il matrimonio gay non esiste. Ma esistono pari diritti

Il "matrimonio gay" è uno dei temi sempre di moda: se ne parla ovunque e tutti vogliono dire la loro. Ma cosa significano esattamente queste due parole?

  • 15 febbraio 2013

Esistono nel giornalismo italiano dei temi ricorrenti, che si propagano a ondate inarrestabili e che sono per lo più farciti di luoghi comuni e frasi fatte. Penso, ad esempio, all’"allerta caldo", che autorizza ogni anno esperti improvvisati a suggerirci sempre gli stessi accorgimenti (“bevete”, “state all’ombra”), o agli incidenti automobilistici all’uscita dalle discoteche, o a mille altre occasioni per riempire di futilità carta stampata, tg e testate on line.

Uno di questi temi sempre di moda, e in particolar modo adesso, a Palermo, in seguito all'istituzione legale delle coppie di fatto, è il “matrimonio gay”, che viene spesso rilanciato da dichiarazioni dell’omofobo di turno o, più raramente, da proposte di legge o sentenze della magistratura. Un tema di grande attualità nella campagna elettorale per le politiche 2013, che ha persino sfiorato il festival di Sanremo.

È l’occasione per lasciare scatenare opinionisti di qualsiasi natura (un must irrinunciabile sono politici, prelati e psicologi), ovvero per fermare persone per la strada o lungo i sentieri del web, chiedendo loro a bruciapelo: “Favorevole o contrario ai matrimoni gay?”. Proviamo ad accendere qualche luce nell’oscurità che ci circonda, e chiariamo un punto importante: i matrimoni gay non esistono.

Esiste il matrimonio, un legame formalizzato tra due persone finalizzato alla formazione di una famiglia. Il matrimonio, semplicemente quello. Il “matrimonio gay” è solo un’invenzione giornalistica e induce a credere, erroneamente, che il movimento per i diritti LGBT non stia semplicemente reclamando l’accesso a un istituto giuridico già esistente, al pari degli altri cittadini, ma che chieda la creazione di un nuovo istituto, magari accompagnato una cerimonia kitsch.

Si tratta, invece, semplicemente di offrire a una minoranza la possibilità di avere gli stessi diritti della maggioranza. Non è l’unica rivendicazione del movimento LGBT, che reclama l’uguaglianza e la piena cittadinanza in tutti i settori (lavoro, istruzione, previdenza, sanità, welfare, etc.), ma è sicuramente quella di punta, che sfiora un nucleo di pregiudizi ideologici difficili da scalfire.

Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Australia si usa l’espressione marriage equality, ovvero “eguaglianza nel matrimonio”, "parità di accesso al matrimonio"; in altre parole il matrimonio uguale per tutti. In Francia ci si riferisce al mariage pour tous, il "matrimonio per tutti".

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso sta per essere approvato in Francia e nella Gran Bretagna guidata dal conservatore Cameron ed è riconosciuto in nove stati USA (Massachusetts, Connecticut, Iowa, Vermont, New Hampshire, New York, Washington, Maine, Maryland, e nel distretto di Washington), in Spagna, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Portogallo, in Canada, in Sudafrica, in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Argentina, in Islanda, in Messico. In altri paesi, come Israele, Aruba, e Antille sono riconosciuti i matrimoni omosessuali contratti all’estero.

In Italia nulla di tutto questo: i matrimoni e le unioni civili celebrati all’estero non vengono riconosciuti (è di ieri la notizia del rifiuto della trascrizione di quello della deputata Paola Concia e della sua compagna) e nel dibattito politico l’eguaglianza nel matrimonio sembra lontana all’orizzonte, resa distante da pregiudizi ideologici, fanatismo religioso e persino dall’etichetta “matrimonio gay”, che mistifica e contribuisce a nascondere la verità.

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