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L'acqua come espressione della fluidità dello spirito

  • 26 giugno 2006

Atavico simbolo e principio di vita, e secolare musa di ogni arte, l’acqua si conferma “punto di partenza” per il discorso artistico sviluppato in più direzioni dai due autori siciliani Antonio Maggio e Fabrizio Sciarrino, protagonisti della mostra “Il caos sensibile” visitabile a Palermo fino al 29 giugno negli spazi espositivi della Libreria del Mare, in via della Cala 50 (dal lunedì al sabato ore 9/13 e 16/19.30). Presentata dal docente di filosofia Carmelo Moscato, l’esposizione accoglie ceramiche raku ed opere in tecnica mista in cui l’elemento liquido è fonte per digressioni sulla spiritualità umana e sul valore dell’acqua, con una certa attenzione alle problematiche economiche ed ecologiche che interessano questo bene primario per ogni forma di vita.

Il titolo scelto rimanda all’omonima opera di Theodor Schwenk che riprende la concezione dell’acqua come simbolo di un principio privo di forma ma suscettibile a forma ed associato in tal senso alla fluidità spirituale. Proprio questa analogia fra l’acqua e quella capacità dello spirito umano di andare al di là di schematismi e costrizioni, che si esplica in particolar modo nella pratica artistica, è una prima chiave di lettura, sottolineata da Moscato, dell’intero corpus delle opere esposte, che sviluppano poi discorsi propri e direzioni differenti. Se nelle forme irregolari delle ceramiche di Sciarrino è rintracciabile un messaggio di liberazione da ogni forma precostituita ed imposta, un accento di denuncia si rileva in alcune opere di Maggio, che sviluppa riflessioni d’ordine etico ed ecologico legate all’acqua.

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Maggio mira a rendere in immagine una civiltà contemporanea caotica e sganciata dai ritmi e dai principi della natura in opere come “Il contatore di poesia”, in cui l’elemento liquido quale simbolo di fecondità spirituale è anch’esso centellinato e soggetto a misurazione, o “Oro nero” dove l’acqua imbottigliata rimanda al contesto di speculazione economica che ha inglobato un bene comune e imprescindibile. Un valore duplice ha poi la sabbia, elemento presente in vari suoi lavori, da un lato associata all’aridità spirituale, dall’altro connotata da una valenza positiva in quanto concepita quale tabula rasa per un nuovo lavoro di “costruzione”.

Significativo, come spiega Moscato, è che i due autori per gran parte delle opere abbiano utilizzato la tecnica raku, che consiste nell’estrazione di un’argilla molto resistente a una temperatura di circa 1000 gradi, nella sua lavorazione con materiali combustibili e nella finale immersione in acqua, richiamata nei soggetti marini, nelle forme irregolari e nelle curve morbide di alcune ceramiche di Sciarrino. Nata in Giappone circa 500 anni fa, la ceramica raku presenta rese cromatiche sempre imprevedibili, è opera irripetibile e rappresenta in tal senso la celebrazione dell’unicità della creazione artistica e l’antitesi di una produzione seriale invasiva di sfere e campi sempre più delicati. Non è casuale, inoltre, il ricorso ad una tecnica riconducibile ad un contesto meditativo orientale, in piena armonia con l’interpretazione dell’acqua privilegiata dagli autori, nel rimando alla dimensione spirituale.

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