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La mafia è bianca, il film-denuncia degli ex Sciuscià

  • 7 novembre 2005

«Dobbiamo raccontare le storie che fanno schifo e che fanno scandalo, e questa è una storia feroce che chiedeva di essere raccontata». Ecco alcune delle parole d’indignazione che come lame hanno affettato l’aria del teatro Metropolitan di Palermo, venerdì 4 novembre scorso, quando Michele Santoro ha presentato il libro-dvd “La mafia è bianca” (Edizioni BURsenzafiltro, 19.50 euro). Parole dure che hanno creato inquietudine e curiosità, fra la platea di circa novecento persone presenti, pronunciate da Alberto Nerazzini, coautore insieme a Stefano Maria Bianchi (entrambi ex inviati per Santoro di Sciuscià) del film-denuncia firmato dalle musiche di Nicola Piovani. In tempi di censura il cinema sembra essere tornato ad uno dei suoi ruoli originari: fare informazione. Inaugurata da Michael Moore, la stagione dei documentari che si occupano di fornire “l’altro punto di vista” in nome di un’informazione trasparente e libera segue (e a volte insegue) il corso degli eventi politici, conserva e ricollega le vicende passate a quelle attuali, per riportare a galla verità presto filtrate e insabbiate dai “gestori” del sistema, e ancor prima “fatte fuori” dalla memoria collettiva dalla maggior parte della gente, che solo di telefonini sembra saper parlare.

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La mafia è bianca perché non si macchia più di sangue, o perché il sangue di cui si macchia segue percorsi diversi, passa fra le mani di dottori dai camici altrettanto bianchi, viene sottratto ai cittadini che si affidano alle strutture mediche pubbliche, che dalle immagini del documentario vengono riprese in tutto il loro squallore. Ebbene sì, se la sanità privata passa la cera su macchinari e arredi di ospedali degni di General Hospital, quelli pubblici arrancano fra la sporcizia e l’attesa dei pazienti di essere ricevuti da quel personale che non c’è. «Questa macchina in una struttura privata è la “gallina dalle uova d’oro”» afferma un medico di Villa Sofia riferendosi al macchinario che serve per le risonanze magnetiche, «Qui non è in funzione per mancanza di personale»: viene in mente l’elenco, fatto poco prima da Alberto Nerazzini, delle persone morte in Sicilia negli ultimi sette mesi per mala sanità. Immagini che si commentano da sole, così come le parole del libro ricostruiscono passo dopo passo le inchieste che la Procura di Palermo conduce da tempo sui rapporti tra mafia e politica in Sicilia, cercando di analizzare i legami stretti e sottili che li uniscono alla sanità. Tanti i nomi, dai latitanti a chi è dietro le sbarre… a chi non ci è ancora finito. Lasciano esterrefatti le intercettazioni ambientali e telefoniche del medico-boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, che apprezza le doti di “cristiano emotivo” di Totò Cuffaro, e i legami (per i quali è indagato) che legano quest’ultimo a personaggi come l’ingegnere Aiello (presunto prestanome del boss latitante Provenzano), Mimmo Miceli (medico indagato dalla Procura), e Salvatore Aragona (in galera per aver falsificato la cartella clinica di Brusca). Tali intercettazioni sembravano segnare la pista che avrebbe portato al ritrovamento del latitante Provenzano, ma una soffiata ha rovinato tutto.

Tutto va in rovina, se continuiamo a farci soffiare la libertà, e se la forza nasce dalla conoscenza, è proprio dalla libertà d’espressione che dobbiamo iniziare: «Il mio scopo è quello di continuare la mia battaglia contro la censura», incalza Santoro, e proprio durante il suo intervento entra in sala Giancarlo Caselli (procuratore capo antimafia a Palermo dal '93 al '99, negli anni successivi alle uccisioni di Falcone e Borsellino) salutato da un applauso di qualche minuto. Si avvia alla fine Santoro con un messaggio a Totò Cuffaro: «Permettetemi di considerarmi un siciliano, Cuffaro la deve smettere di parlare a nome di tutti i siciliani nel rispetto di chi non lo ha votato, approfittando con arroganza del suo potere». Questo e tantissime altre cose sono il contenuto di “La mafia è bianca”, documento prezioso che sfugge alla censura.

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