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Quell'oscura discesa nei meandri della mente umana

  • 17 aprile 2006

Ci sono degli interrogativi propri della Natura Umana, che sembrano essere insiti in noi e che prima o poi ognuno si pone; ci sono degli scrittori che hanno la capacità di verbalizzare tali quesiti, di renderli decodificabili, di descrivere i moti più intimi e contorti dell'animo, le sotterranee onde che spingono l'uomo a commettere anche delitti efferati; ci sono registi, come Glauco Mauri, che riescono a tradurre e ridurre a opera teatrale un testo di uno degli autori più complicati della letteratura mondiale, “Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskij. Il lavoro omonimo, con la regia di Mauri, in cartellone per la stagione del Teatro Biondo di Palermo (via Roma, 258), andrà in scena dal 19 al 30 aprile.

Dostoevskij è uno scrittore, è un filosofo, si potrebbe definire uno dei padri della psicoanalisi. Freud studiò i suoi testi, Nietsche si ispirò a lui e all'idea di un “uomo oltre” gli altri. Ancora oggi la criminologia si rifà alle spiegazioni che questo genio scriveva per rendere più reali i suoi personaggi. “Delitto e castigo” è un romanzo complesso, sia per i temi trattati, da quello politico, la diffusione del pensiero marxista, a quello religioso, il misticismo ortodosso, a quello culturale, le tendenze romantiche che agitavano la società russa di fine ottocento, ancora oppressa dalle strutture della dittatura zarista. Come direbbe Carotenuto è una discesa nel labirinto della mente, in questo caso in quella di un ragazzo, Raskolnikov, interpretato da Roberto Sturno, studente vivace, fervido, ma ossessivo e nevrotico, legato a degli ideali di giustizia, secondo cui un uomo superiore, quello che diventerà lo über nietzschiano, ha il diritto non solo di valutare se un altro essere è degno o meno di vivere, ma anche di porre fine a quella esistenza.

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Raskolnikov, spinto dalla convinzione di compiere un favore all'umanità, uccide una vecchia usuraia. Progetta ed esegue il reato con tale ingegno da essere insospettabile. Ma non ha fatto i conti con la propria coscienza, che ci fa vili tutti, ma che ci ricorda l'orrore delle nostre azioni, imponendoci una scelta, difficile ma necessaria, per non scivolare nella follia. Raskolnikov non riesce a sopportare il peso di un simile segreto, i suoi fantasmi emergono rendendogli impossibile la vita; decide di confessare a Sonja, l'attrice Silvia Ajelli, una prostituta che vende il proprio corpo per mantenere la famiglia, emblema ossimorico della purezza, della bontà, e della fede.

La ragazza vittima dei pregiudizi scontati della morale comune, gli suggerisce una via di redenzione e lo sostiene nella confessione al giudice istruttore Porfirij Petrovic, Glauco Mauri, uomo solo, intransigente, anche lui imbrigliato in idee che diventano gabbie, da cui è difficile uscire per tentare di avvicinarsi all'altro, di comprenderlo. Il testo drammaturgico si concentra sulla relazione fra i personaggi principali, che diventano stendardi e simboli universali delle proprie tragedie, sulla necessità di essere messo in scena, per divenire mezzo catartico di attori e spettatori. Sperando che possa ancora servire alle coscienze questo metodo forse retrò, in un'epoca in cui niente ci sconvolge, invitiamo a sfogliare l'opera narrativa per assaporare con maggior gusto quella teatrale. Per informazioni telefonare allo 0917434341.

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