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Un serpente, Saturno e la corona: perché il 17 dicembre si festeggia il Genio di Palermo

Dicembre era un mese importante in cui si compiva il ciclo della natura, si passava dall’oscurità più temuta, quella del sole, alla sua rinascita. Ma in cosa consisteva?

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 17 dicembre 2020

Il Genio all'Orto Botanico di Palermo

Potrà sembrare bizzarro, ma forse oggi (17 dicembre, ndr) è il giorno adatto per festeggiare Il Genio di Palermo. Se sono plausibili alcune ipotesi, il barbuto re potrebbe essere la rappresentazione di Saturno, o il suo corrispondente greco Kronos (divinità del tempo), il Titano che sarà esiliato da Zeus al termine della Titanomachia.

Kronos, impegnato a divorare i propri figli (caratteristica comune al Genio di Palermo, alla luce della famosa frase: “Palermo divora i suoi figli e nutre gli stranieri”), era consapevole che uno di questi l’avrebbe detronizzato ed esiliato.

Sulla presenza del serpente che si nutre da una mammella del Genio, si apre una serie d’interrogativi. Il serpente si dice sia Scipione l’Africano, nutrito ossia aiutato da Palermo nella guerra contro i cartaginesi, quindi lo straniero; su questa natura infida dell’animale credo che il romano sia ben rappresentato, considerando lo sfruttamento che farà dell’isola.
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Oppure è lo svolgersi del tempo spesso rappresentato da un serpente nell’atto di mordersi la coda, chiara indicazione di un tempo ciclico, di un eterno ritorno. O il classico simbolo di fertilità, acqua o conoscenza. Ogni interpretazione può andare bene.

È indubbio che sotto il regno di Saturno gli uomini vivessero bene, senza dolori né sofferenze; Esiodo narra: «Essi vissero ai tempi di Kronos, quando regnava nel cielo; come Dei passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro...».

Il Re (e ricordiamolo, il Genio di Palermo ha la corona) aveva dato inizio alla mitica età dell’oro caratterizzata da abbondanza, giustizia e pace. Questo tempo felice terminò con la sparizione del Sovrano.

Se quindi pensiamo che il genio di Palermo possa essere l’immagine del suo antico Patrono, Dio e Re, ecco come si spiega la ragione di festeggiare il 17 dicembre.

In questa data, infatti, Roma e l’Impero celebravano una tra le feste più importanti e particolari, i "Saturnalia". La ricorrenza, dapprima di un solo giorno (appunto il 17), venne man mano estesa a tre giorni per comprendere poi un’intera settimana fino al 23 (giusto a ridosso di un’altra festività, il Sol Invictus del 25).

Dicembre era un mese importante in cui si compiva il ciclo della natura, si passava dall’oscurità più temuta, quella del sole, alla sua rinascita. Ma in cosa consisteva?

Nell’inversione totale del mondo com’era conosciuto; in questo giorno si assisteva al ribaltamento dell’ordine sociale, si dava sfogo a quelle manifestazioni impensabili in un vivere attento ed equilibrato. Era la festa soprattutto degli schiavi, che divenuti padroni potevano inveire, ubriacarsi, sedere alla stessa tavola ed essere serviti dai loro signori.

Nel rovesciamento del vivere quotidiano anche la struttura politico-amministrativa subiva uno stravolgimento; era nominato
un re, tra gli schiavi, che legiferava norme rivolte allo scherzo e alla burla, re che in epoche arcaiche era poi sacrificato. Saturno in quei giorni diventava il re della trasgressione non solo a Roma ma in tutti i confini dell’Impero.

Il popolo si recava in processione al tempio o all’edicola del Dio scambiandosi doni, biglietti di auguri (i famosi epigrammi) e le strenne fatte con noci, datteri e miele (strenna deriva da Strenua, la dea del solstizio d’inverno), portando inoltre candele e rami di mirto, alloro e edera.

Se Frazer ne "Il Ramo d’oro" ritiene che i segni di questa festa siano ancora riscontrabili nel nostro carnevale, opportunamente spostato dalla chiesa più avanti rispetto alle date previste, la festa per le strade con mercatini, artigiani, funamboli, esibizioni di artisti, scambio di auguri e grandi banchetti, mi ricorda il nostro Capodanno.

E se lo scherzo, il travestimento, la licenziosità legata al sesso sono carnevaleschi (anche se la questione delle orge risente di una cattiva stampa di matrice cattolica), posso immaginare che le due feste originariamente fossero una sola, in seguito scisse e allontanate l’una dall’altra.

La festa di strada era rumorosa, tanto da far dire a Plinio il Giovane che lui in quei giorni si allontanava da Roma per la confusione; era la festa del popolo.

Negli ambienti aristocratici e intellettuali invece ci si riuniva per parlare di filosofia, di storia, di retorica e dei piaceri della vita; il tutto tra portate raffinate di pesce, piccione, cervo e persino pavone, tra danze di ancelle, ottimi vini e ripetuti scambi di brindisi, con il classico augurio “Ego, Saturnalia”, probabilmente una forma abbreviata per dire “io ti auguro felici Saturnali”.

Erano giorni in cui tutte le attività erano sospese, anche gli abiti erano diversi e per comodità al posto della toga si usava la veste da camera (la synthesis), molto più comoda per partecipare in scioltezza e libertà ai divertimenti.

E se Catullo chiama il 17 dicembre optimo dierum (uno tra i giorni migliori), alla fine di questo excursus storico-religioso voglio augurare a Palermo, al suo Genio, Titano e Re – cui tutti ci affidiamo - e a tutti noi "Ego, Saturnalia".
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