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"Memorie dall’Olocausto", la difficile lezione della storia

  • 30 gennaio 2006

Poche generazioni conservano concreta memoria della tragedia dell’Olocausto. Ma la memoria non è solo esperienza di un vissuto personale, bensì un bagaglio di immagini, conoscenze e reperti che hanno potere di evocare ancora una fetta di realtà consumata. Tanta filmografia e bibliografia hanno contribuito a perpetuare il ricordo di una delle più gravi “cadute” della civiltà nella barbarie, proprio nel secolo in cui l’accelerato sviluppo di discipline scientifiche, mediche e filosofiche, poteva vestire di progresso ogni aspetto della realtà umana. Così non è stato e così non è ancora. Da qui il titolo “La terra brucia ancora…Memorie dall’olocausto” per la personale di Giusto Sucato, inaugurata proprio nel “Giorno della Memoria” e visitabile fino al 12 febbraio a Misilmeri (Pa) nei locali del Circolo Cultura e Ambiente in via La Masa 2 (tutti i giorni ore 10-13 e 17-21; catalogo con testi di Giusi Diana e Vinny Scorsone). Patrocinata dall’associazione culturale Altroquanto di Misilmeri e curata da Giusi Diana, l’esposizione accoglie una quarantina di opere realizzate da Sucato negli ultimi cinque anni su un tema non inedito per l’autore palermitano. Lo stesso artista racconta come l’incipit di un percorso di riflessione sulla Shoah sia stata un’opera dei primi anni Ottanta, seguita nel ventennio successivo da varie altre produzioni sull’argomento, fra cui i lavori per un testo di Ignazio Apolloni.

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Nel 2002 e 2003 il progetto di una mostra sul tema dell’olocausto si concretizza alla Libreria Broodway di Palermo, e nel 2004 una parte dell’esposizione in corso è presentata a Palazzo Aragona Cutò di Bagheria con il titolo “Al di là del recinto”. Nuove e recenti opere arricchiscono l’attuale mostra di Misilmeri, che assume un particolare orientamento, chiarito dal titolo scelto. La terra brucia ancora: brucia il ricordo di uno sterminio tanto più atroce quanto frutto di una lucida e fredda pianificazione; ma brucia anche la consapevolezza che massacri di ogni genere continuano ai giorni nostri, magari con diverse dinamiche e modalità, ma sempre sotto le effigie di odio, violenza e negazione della vita umana. L’operare di Sucato procede attraverso la significazione di materia e forme simboliche. Nella sostanziale ubiquità della gialla stella di David si circoscrive l’ambito di riflessione, intensificato talora da ulteriori oggetti-simboli dell’Olocausto. L’evidenza del messaggio è estrema nelle tecniche miste su tamburato in cui immagini di prigionieri nei campi di sterminio si integrano con architetture geometriche. Altrove c’è maggiore essenzialità, e geometria e scrittura inscenano una performance dal linguaggio più sottile e simbolico. Nelle cassette in mostra, spazzolini, pettini o occhiali fanno le veci dell’elemento “persona” pur nella complessiva negazione dell’identità: gli oggetti personali accatastati non sono più un semplice cumulo di plastica e vetro, ma rappresentano l’omologazione di singole identità e la spersonalizzazione di individui ammassati in ghetti, campi e fosse comuni.

Per ogni pettine, un nome, una mente, una vita. Nelle istallazioni, su un piano formale parallelo, la presenza di muti oggetti sottolinea l’assenza umana. «La sedia di "Omaggio a Wiesenthal" – scrive Giusi Diana nel suo testo in catalogo – nella sua immediata evidenza oggettuale non rappresenta la tragedia ma è la tragedia, in quanto impronta di un corpo umano che non c'è più, che è sparito per lasciare posto ad un simbolo, il filo spinato». La riflessione su un tema specifico, infine, non impedisce a Sucato qualche incursione sulla contemporaneità. In una delle opere l’autore esula apparentemente dal tema, riportando su un fondo scuro due date ben note di tristi eventi di cui siamo stati testimoni diretti, le stragi di Capaci e via d’Amelio. Suona quasi un invito a guardare oltre ogni circoscrizione della violenza, dell’ingiustizia e della sofferenza umana, perché troppo spesso si è tentati di rivolgere attenzione solo a tragedie lontane, evidenti nei loro sviluppi e conseguenze. Di certo poco valore ha la memoria se non è vissuta come una lente per indagare la realtà del nostro tempo e come monito per contrastare il male attuale che non è mai “estraneo” o troppo lontano.

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