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Mens sana in corpore sano: Bio… logico no?

Mens sana in corpore sano recita una famosa e apprezzata massima, ma con un’aggiunta particolare: cum cibo sano

  • 7 giugno 2007

Quanti di noi sanno cosa sia la New Age, come venga effettuata la liposuzione o, ancora, quali siano gli obiettivi di Green Peace? Termini di uso quotidiano avvolti nella nebulosa. Ci sono, poi, le mode, che contribuiscono a diffondere le parole, ma non a chiarirne i contenuti. Una gentile signora, proprietaria di un’azienda avicola, mi disse, con molta professionalità, che il suo era un allevamento biologico. Quando le ho chiesto che tipo di mangimi usasse, perplessa mi ha risposto: “E cchi c’ientra? Cci rissi biologgico, ‘unn’ u viri ca sunnu tutte vive! Cchiù biologgico r’accusì?” Un’altra volta un mastru affermò che il suo era grano biologico: concimava con lo sterco. Salvo poi scoprire che spruzzava antiparassitari. “Ma chi cc’ientra, cciù spruzzu ri supra, mica rintra!” Cose che succedevano quindici anni fa.

Per fortuna si sta diffondendo una maggiore consapevolezza e sensibilità, grazie anche a movimenti che propongono modi alternativi di nutrirsi. Mens sana in corpore sano recita una famosa massima, apprezzata, ma con un’aggiunta: cum cibo sano. Cosa quanto mai necessaria oggi che le industrie agroalimentari, con l’ausilio delle biotecnologie, hanno sviluppato la produzione di Ogm, organismi geneticamente modificati. Si è posto il problema della sicurezza per l’ambiente e per la salute dei consumatori. Insomma non è più possibile commercializzare Ogm e poi contare disastri, morti e feriti. Si è capito che, forse, era meglio verificare la pericolosità di quei prodotti prima di diffonderli, che era necessario assicurarsi che i rischi fossero nulli o contenibili. Purtroppo, neanche a dirlo, questi controlli si scontrano con gli interessi dei paesi tecnologicamente più avanzati. I paesi in via di sviluppo, che, per lo più, sono gli importatori, chiedono garanzie e l’istituzione di norme di sicurezza che limitino il trasferimento di Ogm oltre i confini. I paesi dell’UE hanno una posizione intermedia: chiedono l’imposizione dell’obbligo d’informazione e quindi di etichettatura, così da rendere consapevoli gli acquirenti.

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Ma, chissà come mai, gli USA si oppongono. Non solo non vogliono differenziare i prodotti transgenici da quelli naturali, ma pretendono che in caso di sciarre commerciali, gli accordi sugli Ogm vengano subordinati alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che non riconosce nessun ostacolo alla libera commercializzazione di tali prodotti. Come a dire: “S’iddu ‘nni sciarriamo, le regole non valgono più e io esporto ‘nzoccu mi conviene!” Alias Ogm! Sfruttando questa libertà gli USA hanno fatto ricorso contro il divieto dell’UE di importare carne statunitense, arricchita di ormoni. “’Un t’ha a siddiari, ma noi europei non abbiamo bisogno dei vostri ormoni, che ci fanno male assai, noi ce li abbiamo grandi quanti omoni, che ci facciamo l’appello!”. Il ricorso è stato vinto, da loro, e l’UE è stata multata dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Abbiamo capito che certi omaggi non si possono rifiutare. Oggi gli USA consentono agli altri paesi di adottare delle precauzioni, a cui loro non aderiscono. Morale della favola: gli Ogm americani saranno difficilmente etichettati e riconoscibili. Per fortuna in Italia, grazie a Santa Rita, la santa dell’impossibile che ci mise ‘a mano, le leggi sono diverse. Le etichettature seguono regole chiare: la dicitura “da agricoltura biologica” posta nella denominazione di vendita, si riferisce al caso in cui almeno il 95% degli ingredienti sia biologico. Il secondo caso è quello in cui non è ammessa la dicitura “agricoltura biologica” nella denominazione di vendita ma solo nell’elenco degli ingredienti, con obbligatoria la dicitura “x % degli ingredienti di origine agricola è stato ottenuto conformemente alle norme della produzione biologica”.

La percentuale di ingredienti di origine biologica non deve essere inferiore al 70% e i restanti ingredienti devono essere compresi nelle liste positive comunitarie che certificano i prodotti ammissibili. Il terzo caso è quello della dicitura “prodotti in conversione all’agricoltura biologica”, ammessa per prodotti con un solo ingrediente di origine agricola coltivato da almeno dodici mesi in conformità alle norme di produzione biologica. Anche in questo caso i restanti ingredienti dovranno essere compresi nelle liste positive. Inoltre per essere definito “proveniente da agricoltura biologica” un prodotto deve essere ottenuto in terreni che abbiano superato un periodo di conversione - alla coltivazione biologica - della durata di almeno due anni per colture annuali e tre anni per le colture perenni. Ogni etichetta deve anche obbligatoriamente registrare la sigla dell’organismo di controllo (sigla dell’Italia seguita da tre lettere IT XXX), il codice del produttore e il codice del prodotto. Purtroppo i prezzi degli alimenti biologici ancora non sono concorrenziali e le famiglie si trovano costrette a cercare mediazioni, spesso frustranti. Per fortuna molti supermercati hanno creato delle linee bio, che essendo di larga diffusione contengono i prezzi. Ma l’ideale sarebbe avere un rapporto diretto con i produttori locali, creando dei circuiti alternativi alle solite filiere, che inevitabilmente penalizzano il consumatore.

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