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"C'era una volta" e (c'erano) i bimbi di una volta: a Natale regalate un libro di fiabe

I bambini di oggi, bombardati dal social, hanno sempre di più messo in discussione il "Totem degli adulti" e hanno perso la capacità di affascinare e raccontare storie

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 24 dicembre 2022

Perché regalare un libro di fiabe per Natale? Forse per riallacciare quei perduti rapporti tra generazioni, per ritrovare piccoli momenti di condivisione, per sognare che tutti, un giorno, vivranno felici e contenti.

I bambini di oggi, bombardati dal social, hanno sempre di più messo in discussione il "Totem degli adulti".

Non più divini o saggi, non hanno più contatti con la nuova dimensione infantile, assistendo spesso come spettatori divertiti e niente di più, alla crescita dei loro piccoli. Non più protagonisti dei loro giochi, hanno perso anche la capacità di affascinare e raccontare storie.

Il "C'era una volta", apertura di ogni fiaba, era un segnale inequivocabile, si raccontava qualcosa legato a un passato unico e singolare e per questo tesoro dei piccoli, che nelle fiabe e non nelle favole (dove il finale imponeva una morale), trovano quel processo di crescita e di affermazione della personalità.
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Se c'era una volta un Re che aveva le cose più strane del mondo, ma gli mancava l’albero che parlava, i bambini non si chiedevano perché mai un albero parlasse, ma dove si potesse trovare per completare quella preziosa collezione.

C’era una volta, e c’erano i bambini di una volta. Bimbi come me che gioivano quando Hansel e Gretel tornavano a casa dalla famiglia, senza porsi la domanda che mi ha rivolto mia nipote: «Nonna ma perché sono tornati a casa se il papà li aveva abbandonati, come facevano a fidarsi di nuovo?».

Difficile rispondere, soprattutto perché questa domanda non l'ho mai posta a miei genitori o ai miei nonni grandi narratori. Le loro parole erano l’orizzonte delle nostre giovani vite e dove l’attenzione era catturata dalla descrizione di orribili mostri, draghi, pozioni magiche, streghe brutte e cattive, principi e principesse o meravigliose fatine colorate ricche di veli e cappelli a cono.

La capacità affabulatrice fatta da mimica facciale, dalle storie, dalle cantilene ripetute, stupende quelle di Capuana: "Aspettare e non venire è una cosa da morire”, "Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole”, "Trottolina, piatta piatta, gira gira e fa la matta" erano le meraviglie appartenenti a un’infanzia di un tempo passato.

Affermare che "quando finisce il mito, arriva il tempo delle fiabe" è una delle spiegazioni della nascita del novellare. Gli uomini apprendendo le leggi e i modi della natura, ne avevano preservato il culto e la ritualità magica per i loro piccoli.

Le fiabe, e non le favole come abbiamo detto, contemplavano la punizione del cattivo, facendo diventare la vendetta, un atto catartico moralmente accettabile. Il cattivo doveva essere punito, non era prevista riabilitazione o perdono, era l’affermarsi della giustizia. Processo necessario, dove la magia consentiva di uscire dal disagio e dalla sofferenza.

Se nei racconti di Pitrè l'orizzonte narrativo era quello delle storie popolari, con il "Custureri e il Principe, o Ferrazzanu" personificazione delle capestrerie, delle astuzie e delle burle che ricorda Bertoldo, e altri personaggi, le cui avventure si svolgevano tra terra e mare, (mai tra cielo e sottosuolo); nelle fiabe, invece, esistevano mondi diversi, "altri", spesso nascosti dall’oscurità con improvvisi varchi o porte.

I personaggi di Capuana spesso avevano caratteristiche comuni con fiabe di altri luoghi anche lontanissimi dalla Sicilia, una dimensionalità fantastica unita “all’arte di scrivere”.

C’era la brutta Spera di sole, Tizzoncino, Serpentina bimba nata serpente con un solo dentino tutto d’oro, Trottolina o Testa di Rospo, Senza Orecchie che gettata in un pozzo si trovò a sacrificare le sue orecchie per sfuggire a un mostro marino che la voleva mangiare.

Orecchie che saranno miracolosamente ritrovate intatte nel ventre del grosso pesce. Storie che avevano radici profonde a iniziare da una delle fiabe più antiche “La Gatta Cenerentola”, dove “una Cenerentola” si vendicava dei torti subiti andando ben oltre quella giustizia ammessa nei racconti, godendo della sofferenza del suo aguzzino.

«Favole nuove non ce ne sono più, se n'é perduto il seme», dice amaramente il Raccontafiabe di Capuana, che illudendosi di poter lavorare raccontando fiabe, si accorge che i bambini le conoscono già tutte, e pur trovandone di nuove attraverso l’incontro con maghi, fate e oggetti magici, non potrà che costatare che anche queste diventeranno vecchie, e non troveranno un narratore in grado di rivitalizzarle, riaccendendo la curiosità dei piccoli.

È una precoce perdita dell’innocenza che impedisce di ascoltare nuove fiabe. Condizione che ormai si rivela prestissimo, modificando la ricezione delle storie diventate ormai "Musical", dove non vi è più alcuno stimolo per l’immaginazione, e la creazione personale di mondi fantastici. Io continuo a comprare e raccontare fiabe, amo trovare una nicchia dove rifugiarmi con i miei nipoti che mi ascoltano stupiti e spesso sorridono.

Re, principesse, maghi, mostri, fate hanno poco a che fare con il loro nuovo mondo fantastico popolato di strani esseri e supereroi, accumunati da un’unica cosa, non aver nulla di umano e conosciuto.

Vera, la nipotina che non ritornerebbe mai da un genitore inaffidabile, adora la storia del “Raccontafiabe” sfortunato.

Spesso la sento ripetere “… racconto fiabe, racconto fiabe, ma di fiabe nuove non ce ne sono più, se n’è perduto il seme…”, non immagina che Capuana con questo racconto aveva decretato la fine del genere, non sa che prima della parola “fine”, quasi immaginando cosa sarebbe accaduto, dice: «Se n’è perduto il seme… come e perché lo saprete facilmente quando sarete grandi».
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