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Da postazione bellica a lazzaretto: la Torre del Vescovo di Catania e il "bastione degli infetti"

Vicino all’ex Ospedale Vittorio Emanuele II svetta la torre medievale, che rappresenta una delle strutture difensive più antiche del territorio catanese

Livio Grasso
Archeologo
  • 19 gennaio 2022

La Torre del Vescovo di Catania (foto fb di Fabio Panebianco)

Nei pressi della via Plebiscito di Catania, vicino all’ ex Ospedale Vittorio Emanuele II, svetta la cosiddetta “Torre del Vescovo”. Probabilmente costruita nel 1302, essa rappresenta una delle strutture difensive più antiche del territorio catanese. Le fonti
riferiscono che l’appellativo derivi dall’allora vescovo Antonio de’ Vulpone, vissuto nel XVI secolo e rammentato per averne mutato l’originaria destinazione bellica in “lazzaretto”.

Ciononostante, la torre, essendo di ridotte dimensioni, in principio non si prestò agevolmente alla funzione che gli era stata assegnata. Inoltre, è opportuno ricordare, che in quel periodo scoppiò una terribile epidemia di peste; infatti le vittime furono innumerevoli e, nel giro di poco tempo, il numero dei malati crebbe a dismisura gettando gli animi dei cittadini nel più acuto sconforto.

Gli effetti della malattia divennero sempre più devastanti, seminando il panico tra la gente e richiedendo una rapida soluzione contro l’imperversare della pestilenza. Fu così, dunque, che il prelato de’ Vulpone provvide al tempestivo ampliamento dell’area medica inglobando il bastione delle vecchie Mura di Carlo V nella torre. Si ascrive, perciò, a questa ingegnosa iniziativa la nascita dello storico e rinomato Ospedale degli Infetti.
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Allo stato attuale, la “torretta” figura come una piccola aiuola spartitraffico che sorge a ridosso della parte nordoccidentale della collina di Montevergine, antica acropoli di Catania. In pianta quadrata è rivestita di pietrame lavico, frammenti di terracotta e malta. Di rilievo pure una serie di blocchi squadrati in pietra nera che ne rinforzano e compattano i cantonali. Articolata in quattro mura, sappiamo che la quarta parete fu volutamente rimossa per ragioni di carattere difensivo. A tal riguardo, è opinione comune credere che fu asportata per impedire agli eventuali invasori di farne uso contro la città stessa; un simile accorgimento, secondo gli studiosi, scongiurava la minaccia che i nemici potessero sfruttarla a proprio vantaggio.

Nel prospetto dell’ex “complesso militare” sono ancora visibili le così chiamate saettiere, ovvero, le feritoie da cui gli arcieri scagliavano le frecce. Alcuni ricercatori sostengono che in passato era presente persino una seconda elevazione; oltre a ciò, si pensa pure che all’interno di ambedue i piani esisteva un pavimento ligneo. Non sembra, invece, esserci alcuna traccia di merlatura, coronamento architettonico palesemente costante in gran parte degli edifici di epoca medievale. Ad ogni modo l’estensione del “centro di ricovero” per gli ammalati agevolò considerevolmente la tutela degli infetti, garantendo loro maggiori attenzioni e cure.

Fu proprio la sublime vocazione medica di questo nuovo “rifugio” a rendere la torre del vescovo parte integrante e sostanziale del “Bastione”. Nell’area pertinente ad esso, a quanto sembra, un tempo sorgeva il tempio di Cerere; ricordato da Cicerone nella magna opera “ In Verrem”, siamo a conoscenza che fu distrutto per mano del vescovo Leone II “il Taumaturgo”.

Gli elementi lapidei dell’edificio templare, prestando fede alle documentazioni pervenute, furono successivamente utilizzati per innalzare una nuova cattedrale, oggi nota come Sant’Agata la Vetere. In ogni caso, il fatidico “Bastione” venne portato a compimento nel 1556 su progetto del viceré Vega.

Nell’arco di un ventennio, però, precisamente nel 1576, l’intero perimetro murario si tramutò in luogo di isolamento per gli “appestati”. Non a caso, il soprannome stesso rimanda a questa triste parentesi storica che ha falcidiato il capoluogo etneo nella seconda metà del Cinquecento.
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