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L'esperienza con i grandi studi e il ritorno a Palermo: l'architetto Marzia e il suo MAME

Marzia Messina e la sua architettura fatta di gesti compositivi totali e brevi. "Ce ne ricorderemo" avrebbe chiosato consapevole e piccatissimo quel gigante di Leonardo Sciascia

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 18 gennaio 2022

Marzia Messina (foto di Marta Centineo)

Elegante e raffinato è il punto vista sull'architettura messo costantemente in esercizio da Marzia Messina, nei progetti firmati studio MAME.

Formatasi presso la Facoltà di Architettura del capoluogo siciliano alla fine degli anni Novanta, specializzatasi poi in “Conservazione dell’Architettura Storica”, l’architetto Marzia Messina conserva ancora nei suoi vividi ricordi da studentessa il trasporto e la passione che alcuni docenti trasmettevano durante i propri corsi universitari.

In particolare, Mario Giorgianni, tra l’altro suo relatore di tesi, Roberto Collovà, Gaetano Cuccia e Bibi Leone; quest'ultimo capace di incidere, ancor prima che con la grande maestria dell'esempio grafico di cui era dotato, con il suggerimento di seguire sempre la propria strada senza concedere spazio a facili giudizi, molto spesso di circostanza.

E quella strada l'ha non soltanto seguita e percorsa con perenne curiosità e slancio emotivo ma letteralmente divorata. Dopo la discussione della tesi di laurea, la ritroviamo a lavorare prima nello studio londinese di Claudio Silvestrin collaborando al design dei negozi del marchio “Giorgio Armani” (2002), e successivamente come collaboratrice a Verona nello studio di Aurelio Clementi al design per lo store per Louis Vuitton di Tokyo.
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Dopo la breve parentesi vicentina presso lo studio Traverso-Vighy, nella progettazione per interni e allestimenti fieristici, giunge la decisione di far ritorno a Palermo e confrontarsi immediatamente con la sua prima commissione in solitaria, quel restyling dell'appartamento di Antonio Sellerio che a distanza di quasi vent'anni non mostra in alcun modo i segni del passaggio del tempo, sintomo del procedere personale dell'architetto palermitana scevro da formalismi modaioli, bensì radicato metodologicamente nel cucire sempre il progetto attorno o forse è più corretto dire “addosso” alla dimensione umana più intima del committente.

Empatia a governo degli strumenti universali del progetto, è forse questa la specificità più dirompente delle opere architettoniche che lo studio MAME costruisce con continuità da circa un ventennio per la ricca committenza cittadina.

Fortemente influenzata dalla poetica di maestri moderni quali Carlo Scarpa, Alvaro Siza, Mies Van Der Rohe, Eileen Gray e Charlotte Perriand, le sue architetture trasmettono la lentezza del processo compositivo che le ha generate e parlano dei rispettivi committenti qualificando le scelte progettuali attraverso forme, ombre e quei materiali selezionati e condivisi in un percorso di consapevolezza e confronto bilaterale che garantisce risultati di grande mestiere.

«Da piccola – tiene a precisare – disegnavo case e ne immaginavo gli interni, ne ero affascinata così come lo era mio padre, condividevo con lui questa passione. “Passavo inoltre molto tempo con i miei nonni materni, sarti di mestiere e per passione. Ogni abito veniva disegnato e cucito su misura: un modo di lavorare che mi ha permesso di comprendere come delle idee su carta possano dare vita ad un manufatto che adatti i tagli alle forme e le materie agli usi attraverso un progetto. Lo spazio che progetto non può essere indossato alla stessa maniera da chiunque, è personale: ciascuno ha il suo. Le linee dei miei progetti sono come i fili di cotone e questa è l’eredità che mi è stata donata e da allora segnano la mia via. Li ho solo trasformati in linee, l’approccio per me è lo stesso.»

Nella mission culturale dello studio MAME, da lei stessa fondato nel 2005, in cui sono presenti diversi collaboratori, si respira la rara atmosfera di un fare architettura saldamente ancorato ai principi della triade vitruviana, in cui l'estetica e la funzionalità procedono unite e mai slegate, in cui il design degli interni rimane inderogabilmente funzione degli spazi immaginati dall'architetto, in quel processo realizzativo integrale pedissequamente seguito passo dopo passo contemplando quei piccoli cambiamenti in itinere frutto di quelle intuizioni che solo il cantiere è in grado di suggerire al progettista. «Passo molto tempo nei miei cantieri – continua l'architetto – prima e durante per osservare e meditare possibili scelte ulteriori».

Vi è nel suo approccio alla cura dello spazio quel portato umanistico consapevole e capace di generare benessere percettivo e dunque nuova risorsa per i fruitori; le sue invenzioni formali di interior design restituiscono il sapore di un mestiere antico declinato su binari di estrema modernità; le sue sperimentazioni lessicali convincono la committenza al pari della critica perché portatrici di valore a metà strada da tradizione e innovazione.

Nel panorama di una città svilita che volutamente si erge dimentica dell'architettura contemporanea, la strada che l'architetto palermitano segue con slancio e armonia, trasporta nella committenza privata il portato culturale universale del progetto architettonico di qualità, e lo fa nel migliore dei modi possibili, con metodo, trasporto, conoscenza e soprattutto fuori da quel fastidioso rumore di fondo che annebbia persino labellezza di ogni necessario dibattito trasversale.

Non è un caso che l'opera senza tempo dello studio palermitano MAME ed il suo personale approccio sistemico siano stati recentemente oggetto di attenzione da parte di altri “centri culturali” avanguardistici come la FARM di Andrea Bartoli a Favara e dunque a Perugia con laboratori mirati per i bambini, e ancora non è un caso che nel 2020 sia stata selezionata tra le "Architettrici" italiane al Festival di Architettura a Colle Val d'Elsa - 2050 ArchiFest – "Abitare il mondo altrimenti", del Comune di Colle di Val d’Elsa per il Bando “Festival dell’Architettura” della Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiBACT.

Marzia Messina e la sua architettura fatta di gesti compositivi totali e brevi. Ne sentiremo ancora e sempre più parlare, “ce ne ricorderemo” avrebbe chiosato consapevole e piccatissimo quel gigante di Leonardo Sciascia…
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