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La "romanamente grande" Mussolinia: in Sicilia una città ideale del regime fascista

Tra piazza Rachele, l'imponente chiesa di San Benito e corso Edda a benedire la nuova città fu proprio Benito Mussolini: ma cosa rimane se rimane, di Mussolinia tra i boschi?

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 30 gennaio 2019

La planimetria di Mussolinia

"Prego fare progetto completo e romanamente grande - spesa illimitata". Sono queste le parole che l'architetto Saverio Fragapane, allievo di Ernesto Basile e vicino a Don Luigi Sturzo, riceve alla metà del 1923, con l'invito di progettare in pompa magna una nuova città mai esistita, di nuova fondazione appunto, si chiamerà Mussolinia e sarà proprio l'allora presidente del Consiglio Benito Mussolini a benedirne nome e intenti e "prima pietra" nel maggio del 1924.

Per l'arrivo di Mussolini in Sicilia, il piano regolatore risulta ultimato. La planimetria reca persino il nome di strade e piazze, piazza Rachele in cui insiste la mole della chiesa di San Benito e da cui si di parte il Corso Edda.

Sono i primi anni di un fascismo al pieno del consenso popolare in cui si dice quel che si farà e si realizza proprio ciò che si è detto attraverso la diffusione di una architettura che al di la del linguaggio piacente o meno, possiede una dimensione monumentale calibrata sulla grandezza prodotta da architetti straordinari formatisi su principi avanguardistici e pronti a scrivere pagine intense di storia dell'arte in tutta Italia e così sarà anche in Sicilia.
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Ma alla nascita dell'idea di Mussolinia, concorre anche il cosiddetto ritorno alla terra, la ruralizzazione del territorio italiano volta ad accrescere il consenso attraverso politiche di sviluppo capaci di dare lavoro e al contempo generare una piena adesione al primo fascismo post marcia su Roma.

Questo esperimento misterioso votato ad attrarre benevolenza e attenzioni sempre più grandi da parte dell’uomo della Provvidenza littoria, si concretizza a pochi km da uno dei centri culturali più floridi di quella Sicilia protagonista della conquista della terra, la Caltagirone di Sturzo all'interno del bosco di Santo Pietro.

È così, che nel tentativo di allontanare dai quartieri malsani calatini, quei cittadini lì ancora residenti, il 7 novembre 1923 la giunta comunale di Caltagirone adotta la delibera d'urgenza relativa alla fondazione di Mussolinia ed in quei tempi che erano davvero altri tempi, Fragapane ottenne anche l'incarico per realizzare la piazza principale a pianta circolare denominata piazza XXX ottobre, con i relativi edifici prospicienti, la casa comunale, naturalmente la casa del fascio oltre diversi prototipi di abitazioni popolari.

Una vera e propria città giardino per mille famiglie, in cui rappresentare attraverso un ordine assai composto, il nucleo originario della città omaggio al primo cittadino del fascismo, rendendo tributo alla storia del mito urbano romano con la costruzione del tracciato del Castrum militare su cui si sviluppa l'intero piano, articolato su simmetrici rapporti prospettici attraverso la costruzione di quinte architettoniche a uno o due piani massimi, in cui svettano gli edifici rappresentativi e religiosi, così come si evince dalla interessante prospettiva a volo d’uccello allegata tra gli elaborati di progetto.

Ma cosa rimane se rimane, di Mussolinia tra i boschi? E vista la recente volontà di promozione e salvaguardia dei siti testimonianza di prima e seconda guerra mondiale, frutto di un d.d.l. regionale dello scorso anno, sarebbe giusto attrezzarsi per la conservazione di un sito così difficile capace di dividere ancora oggi ad oltre 70 anni di distanza da piazzale Loreto?

Qualcuno ha suggerito che non sia mai esistita ma la realtà è che solo il primo stralcio fu cominciato, realizzando il tracciato della piazza centrale dal diametro di 120 mt, con gli imbocchi delle strade radiali ed uno dei padiglioni dell’esedra loggiata turrita, anche se al rustico, pare per esigenze di propaganda.

Credo che se la storia ci insegna qualcosa, quel qualcosa attenga la necessità di conservare i luoghi in cui la storia abbia comunque inciso passando e ripassando, lasciando agli storici il compito di comporre attraverso i documenti, la verità dei fatti.

In questo contesto, se le tracce di questo incipit urbano poi stranamente mai portato a compimento, fossero ancora lì, credo che andrebbero valorizzate, perché infondo, restano tracce esse stesse, di un passato con cui ancora oggi, non siamo riusciti a far pace, soprattutto in termini di comunità.

Di Mussolinia né parlerà anche Leonardo Sciascia nel suo "La corda pazza" immaginando di un archeologo a scavare proprio alla ricerca di quella città giardino.
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