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Franco e Ciccio: e dov’è il pasticcio?

L’omaggio che i due cineasti palermitani rendono ai due comici, è un film bello, dove la parola vola leggera e, nonostante l’ironia diventi risata, la dura realtà della Sicilia degli ultimi arriva ugualmente

  • 28 settembre 2004

Come inguaiammo il cinema italiano
La vera storia di Franco e Ciccio

Italia 2004
Di Daniele Ciprì e Franco Maresco
Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Lando Buzzanca, Pino Caruso

La nostalgia è un sentimento di grande tristezza, è vero, però ha in sé l’enorme potere di riportare in vita emozioni lontane. Il bel film, pienamente riuscito, della solida coppia Ciprì e Maresco, “Come inguaiammo il cinema italiano - La vera storia di Franco e Ciccio”, documentario presentato fuori concorso alla 61°  mostra cinematografica a Venezia, ci consente questo tuffo nel passato in un tempo in cui l’Italia era ancora ingenua, la televisione meno malefica e tutto più semplice e più umano.Queste due eccezionali maschere giustamente qui rivalutate, Ciccio Ingrassia grande attore completo (nel film sono tanti gli spezzoni che ricordano le sue interpretazioni “altre” e ne confermano la  bravura) e Franco Franchi, reale fenomeno della natura dalle capacità espressive facciali,  e non solo, oltre ogni limite,  erano teatro e vita o meglio ancora vita che è teatro.

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E arrivano per intero il loro amore per il teatro, la passione che prescinde dal ceto sociale (umili le origini per entrambi) e diventa scelta di vita,  quella passione che accomuna tutti gli artisti del mondo, con o senza un pubblico che li applauda (e ben sappiamo che il loro primo pubblico fu in strada), e quindi la loro arte, l’eccezionale fisicità di Franco, volto e corpo i suoi incredibilmente plastici, la mitica pazienza di Ciccio nel viso naturalmente dolente, una magica combinazione, la loro, di candore e risa, suggellata da un affetto profondo (pur se fra ripetute e storiche separazioni),  che ben traspare dal film. L’omaggio che i due cineasti palermitani rendono ai due comici, palermitani anche questi, è un film bello, dove la parola vola leggera e, nonostante l’ironia diventi risata, la dura realtà della Sicilia degli ultimi arriva ugualmente senza l’astrusità dell‘aspro dialetto o l’eccessiva (e talvolta gratuita) crudezza presente in qualche altro film dei due registi, “ragazzi terribili”. La miseria dei vicoli nei quali i due comici nacquero, la povertà delle loro famiglie di origine (diciotto i fratelli di Franco Franchi) raccontata con semplicità dagli stessi interessati (la confidenza con una “fame” vera che pochi forse oggi conoscono) qui hanno una valenza particolare, sono l’humus dal quale i due traggono nutrimento per la loro arte.

Un divertente Gregorio Napoli, il critico cinematografico ormai di casa nelle pellicole di Ciprì e Maresco (era anche in “Cagliostro”, il precedente film dei due registi), un impacciato e irresistibile Francesco Puma, giovane critico alle prime “infelici” armi, oltre alle interviste serie a registi che lavorarono con i due comici (dalle pellicole più riuscite a quelle più scadenti, incluso un Bertolucci che teme il confronto fra il suo “Ultimo tango” e il quasi mitico “Ultimo tango a Zagarolo”) , ai parenti dei due artisti (assai divertenti le piccole schermaglie fra le due sorelle di Franchi), insieme  con i deliziosi siparietti, autentiche pillole di quel vezzoso cinismo, peculiarità stilistica dei due registi, incastonati fra uno spezzone di film e uno di trasmissioni televisive, rendono la pregevole opera misurata e sobria, divertente e poetica.

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