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Pippo, tenore catanese (dimenticato): a "causa" sua Pavarotti fu schiaffeggiato dal padre

L'infanzia di Giuseppe Di Stefano si svolse a Milano dove i genitori si trasferirono alla ricerca di migliori condizioni. A luglio avrebbe compiuto 100 anni

Balarm
La redazione
  • 24 luglio 2021

Il tenore Giuseppe Di Stefano e Maria Callas

La biografia a lui dedicata, opera di Gianni Gori, ha un titolo emblematico "Voglio una vita che non sia mai tardi” modus vivendi che sembra aver anticipato, di alcuni decenni, il mantra del collega, più rock, Vasco Rossi.

Stiamo parlando del tenore siciliano Giuseppe Di Stefano, originario di Motta Sant’Anastasia, nel Catanese, che il 24 luglio avrebbe compiuto 100 anni.

I più giovani certamente non lo ricorderanno, ma per le generazioni dei nostri genitori e dei nostri nonni Di Stefano fu, certamente, un orgoglio nel panorama nazionale, insieme a Enrico Caruso e ancor prima di Luciano Pavarotti.

Ritornano alla sua biografia, Di Stefano è stato uno dei cantanti lirici più popolari e amati del dopoguerra, scomparso nel 2008.

Da tutti era affettuosamente chiamato “Pippo”, la sua infanzia si svolse a Milano dove i genitori si trasferirono alla ricerca di migliori condizioni; anche qui però condussero lavori molto umili, il padre era calzolaio e la madre sarta.
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La sua educazione fu affidata ai Gesuiti (in seminario, che all’epoca era una delle poche occasioni per studiare), mentre fu grazie all'amico melomane Danilo Fois, che lo portava con sé - per quanto Di Stefano allora non fosse interessato - nel loggione della Scala, il principale teatro d’Opera nazionale, che scoprì la musica.

La passione, dunque, venne fuori quasi per caso ma da lì a breve Pippo iniziò a studiare canto seguendo lezioni con diversi maestri, alcuni di spicco, anche in maniera frammentata all’inizio. A sostenerlo in questo percorso che, comunque, Di Stefano non poteva permettersi, fu l’amico Fois.

Anche lui non sfuggì all’arruolamento ma, mettendo in campo tutte le sue doti artistiche, a discapito del suo carattere irruente (finì più volte in carcere) si salvò dai pericoli della guerra (scampò allo sterminio del proprio reggimento nella campagna di Russia, ottenendo una licenza per una convalescenza fittizia poche ore prima della partenza per il fronte).

Rientrato in Italia il suo destino fu segnato: iniziò un'attività come cantante di musica leggera ed avanspettacolo con lo pseudonimo di Nino Florio, realizzando quello che definì “il periodo più bello della mia vita".

Trascorse l'ultimo periodo della guerra in Svizzera, dove ebbe l'opportunità di esibirsi presso la radio di Losanna, alternando brani lirici e canzoni, di cui rimangono ancora alcune tracce acquisite dalla EMI.

Le sue doti riguardavano, va da sé, le sfaccettature della sua voce: morbida, dall'inconfondibile timbro caldo e ricco e notevolmente estesa.

Fu apprezzato, inoltre, per la dizione chiarissima, il fraseggio appassionato, il modo interpretativo accattivante e la squisita levità dei pianissimi e delle sfumature; tutti elementi che gli hanno anche consentito, come dimostra l'esteso repertorio elencato più avanti, una straordinaria ecletticità, che pochi altri tenori possono vantare, ma che ne ha probabilmente abbreviato la tenuta vocale.

Lo stesso Luciano Pavarotti, che aveva per lui grande ammirazione, una volta dichiarò in una intervista: «Il mio idolo è Giuseppe Di Stefano; lo amai ancor più di Beniamino Gigli e questo mi costò addirittura, per l'unica volta in vita mia, uno schiaffo da mio padre, che continuò a preferirgli Gigli».

Il suo carattere fu sigillo alle sue doti vocali: il fatto che non fosse strettamente accademico ma anzi a volte impreciso e “sporco”, come si dice nell’ambiente, lo resero un interprete unico nel panorama dei tenori lirici postromantici del repertorio italiano e francese.

Si esibì oltre che nei principali teatri italiani e in particolare alla Scala, anche nei più importanti teatri del mondo, tra cui Vienna, Parigi, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Città del Messico, San Francisco, Chicago, Johannesburg, al festival di Edimburgo e al Covent Garden di Londra.

Tappe fondamentali, rimaste nella storia dell'Opera, furono alcune rappresentazioni alla Scala, tra le quali Lucia di Lammermoor nel 1954, con la Callas, e la Carmen nel 1955, con Giulietta Simionato.

Per quanto attiene alla vita privata sposò, nel 1949 a New York, la studentessa di conservatorio Maria Girolami, da cui ebbe tre figli e dalla quale di separò nel 1976.

Nel 1977 ebbe relazione sentimentale con Monika Curth, soprano di operetta originario di Amburgo, che sposò nel 1993.

L'ultima apparizione in pubblico risale al 24 ottobre 2004 a Oderzo, dove ricevette un premio a testimonianza di un affetto del pubblico mai venuto meno anche dopo tanti anni dal termine della carriera.

Nel dicembre 2004, cercando di difendere il suo cane durante una rapina nella sua casa di Diani in Kenya, rimase gravemente ferito.

Fu ricoverato all'ospedale di Mombasa, le sue condizioni si rivelarono però molto gravi tanto da essere ben presto trasferito all'ospedale San Raffaele di Milano dove si spense, nella sua casa di Lecco, 3 marzo 2008.
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