STORIA E TRADIZIONI

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Primi nella corsa, ai cavalli e nella lotta: quei (tanti) siciliani che vincevano le Olimpiadi

Quelle vittorie erano cantate ed eternate da poeti come Simone, Bacchilide e Pindaro, interessavano tutti ed erano considerate come fatti illustri da tramandare

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 18 giugno 2023

I giochi panellenci che si svolgevano nell’antichità a Delfi, Nemea, Corinto, e soprattutto ad Olimpia, videro la partecipazione di molti atleti siciliani.

Numerosi furono anche i vincitori siciliani nelle varie gare. Era altissima la considerazione che i greci tutti, quindi anche quelli residenti nelle città siciliane della Magna Grecia, attribuivano a quei giochi: dalle olimpiadi contavano gli anni, e la palma conseguita in quegli agoni onorava non soltanto l’uomo, ma la famiglia e la città che gli avevano dato i natali e come un segno particolare del favore divino.

Le Olimpiadi greche prevedevano il superamento di molte prove che possono essere raggruppate in quattro categorie: le gare di corsa, gare di combattimento, gare ippiche e gare di fiato.

All’interno di queste categorie vi sono numerose prove. Quelle vittorie erano cantate ed eternate da poeti come Simone, Bacchilide e Pindaro, interessavano tutti gli Elleni ed erano considerate come fatti illustri da tramandare alla posterità. Tra VI e IV secolo, su 400 olimpionici di cui ci si conservano i nomi, 35 sono sicelioti "La polis di Siracusa partecipò a numerosi giochi panellenici.
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La sua prima vittoria risale al 648 a.C. mentre la sua ultima vittoria risale al 148 a.C. Con le sue 29 vittorie panelleniche e 9 campioni, in 7 diverse discipline, la polis siceliota è al 2º posto per numero di trionfi nell'Occidente greco, ed è la polis occidentale dalla storia agonistica più longeva Già nel 648 a. C. (la prima Olimpiade sarebbe stata celebrata nel 776) Ligdami di Siracusa è vincitore nel « pancrazio», la tremenda combinazione di lotta e pugilato che ebbe sempre, per la durezza della sua formula, scarsi e per altro celebratissimi cultori.

Nel 148 a.C. giunse l'ultima vittoria olimpica dei siracusani: con il velocista Ortone”. (Wikipedia).

Ma qui intendiamo occuparci soprattutto delle vittorie degli atleti dell’antica Akragas.

Ben cinque volte la gloria del trionfo premiò la bravura degli atleti agrigentini. Primo della serie (nella 71ma Olimpiade, 496 a. C.) fu Esseneto, che vinse nella lotta, agone tra i più apprezzati nelle vibranti giornate olimpiche.

Nella stessa Olimpiade vinse la corsa dei cavalli il padre di Esseneto, che si chiamava Empedocle e che era nonno del filosofo Empedocle. Vent’ anni dopo (76a Olimpiade, 476 a. C.) la vittoria olimpica arrise alla quadriga dell’emmenide Terone (il nome dell’auriga non ci è noto).

A Terone e al suo trionfo nella 76ma Olimpiade il poeta Pindaro dedicò due ispirate odi. “Akragas è la meta, e diremo alte con cuore sincero parole giurate: non partorì in un secolo questa città uomo di pensieri premurosi, di mano munifica verso gli amici più di Terone”, “Ai Tindaridi ospitali e a Elena, bella di riccioli, voglio piacere, onorando Agrigento famosa ed ergendo per Terone ad inno olimpionico il fiore di cavalli dai piedi instancabili.

Certo per questo la Musa mi fu vicina, e trovavo un modo brillante, un accordo nuovo di voce festosa e di ritmo dorico. Ora da me le ghirlande annodate alla chioma reclamano un debito eretto dal dio: che io fonda in giusta misura il vario tono di cetra e clamore di flauti e una trama di voci per il figlio di Enesidemo” (Pindaro).

Le scuderie di Terone erano, con quelle del siracusano Gelone, le più famose del mondo greco. I cavalli agrigentini vinsero anche a Delfi, a Corinto e nelle Panatenee di Atene grazie al bravo Senocrate. Di queste altre vittorie un entusiastico ricordo è nella VI Pitica e nella III Istmica di quell’impareggiabile cantore di epinici che fu Pindaro. Anche le monete akragantine celebrarono i trionfi dei cavalli cittadini.

In una moneta di Akragas vediamo un cavallo al trotto e sopra una stella: probabilmente si voleva ricordare il nobile animale che rendeva Akragas famosa sino in Oriente.

Ricordiamo infatti che i Cappadoci, per comando dell’oracolo, mandarono commercianti in Akragas per acquistare esemplari della razza di cavalli della Città dei Templi.

Un altro Esseneto, nelle Olimpiadi 91a e 92a (rispettivamente 416 e 412 a. C.) vinse due volte nella corsa dello «stadio» (gara di velocità della lunghezza di 192 m. circa).

Le sue vittorie entusiasmarono talmente i suoi concittadini, al punto da accoglierlo quale vero e proprio trionfatore, quand’egli rientrò in patria, nel generale tripudio di una giornata passata ai fasti della millenaria città. Agrigento gli dedica ancora oggi lo stadio comunale e una via e persino il sipario del teatro comunale riproduce i festeggiamenti nell’antica Akragas per la vittoria di Esseneto ad Olimpia.

Lo storico Diodoro ha scritto che l’antica Agrigento era fornita di uno stadio ed in effetti un ginnasio è presenta tra le testimonianze archeologiche nella Valle dei Templi. Certamente nell’antica Akragas vi era pure un ippodromo, dove i cavalli degli Emmenidi furono addestrati per le loro brillanti vittorie.

“Già nel sesto secolo rappresentazioni di bighe e quadrighe costituiscono motivo frequentissimo in certi rilievi sul bordo di bracieri fittili tipici delle fabbriche agrigentine.

E non sembra dubbio che un significato agonistico debba attribuirsi alla quadriga in corsa, con Nike in volo che corona l’auriga, riprodotta nei superbi prodotti numismatici (tetradrammi e decadrammi) della zecca di Agrigento”, ha scritto l’archeologo Pietro Griffo.

La XII Pitica, di circa il 490 a. C, è invece dedicata alla vittoria dell’agrigentino Mida nelle gare musicali della tibia. Incerta è invece la notizia secondo cui l’agrigentino Empedocle non fu soltanto un grande filosofo della natura, ma partecipò anche lui (come il nonno e il padre) e si distinse ai giochi di Olimpia, come afferma Satiro nelle "Vite": vinse nella corsa coi cavalli.

Favorino nelle “Memorie” ricorda che in quell’occasione, Empedocle festeggiò offrendo un grande bue di miele e farina, mirra e aromi e lo distribuì agli astanti.
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