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Via Maqueda fu costruita con un martello d'oro: chi fu il duca che morì tra atroci dolori

La storia della strada chiamata anche "strada nuova" che, tagliando Palermo da nord a sud, va a creare la cosiddetta "croce barocca": ossia i Quattro Canti

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 15 maggio 2023

Via Maqueda pedonale a Palermo (foto di Giuseppe Romano)

Ammetto che se oggi come oggi riesco a fare un minimo di ragionamento critico, ma soprattutto ad interfacciarmi praticamente con qualsiasi categoria di persone, lo debbo ai metodi educativi del professore La Barbera.

Abbastanza alternativo per l’epoca, soprattutto in un istituto professionale come il mio, ma riusciva, con i suoi modi di fare e dire spicci ed a volte molto terra terra (a tipo che se eri distratto ti tirava direttamente il gessetto con una precisione da cecchino, e se invece facevi un ragionamento, perchè lui non interrogava, ragionava, assistemato ti offriva il panino con le panelle da 'u zu Marino che aveva il lapino proprio fuori dalle mura scolatiche), a farti innamorare delle materia letterarie.

A lui devo, tra gessetti e frittura, la mia passione per la storia, soprattutto per quella della mia terra, nonostante abbia intrapreso nella vita una strada totalmente diversa.

Quando arrivavano i primi caldi, le interrogazioni erano finite e la scuola era quasi al termine, portava noi picciuttanazzi e picciuttanazze in giro per Palermo, mostrandoci e spiegandoci, con aneddoti e leggende, quelli che lui reputava i luoghi più belli di Palermo.
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In quella lontana mattina di maggio, con il perenne sigaro tra le labbra e la promessa che appena facevamo i minchioni ci sgagnava le corna, (cosa che avrebbe realmente fatto senza problemi), ci portò lungo il tratto di via Maqueda raccontanci la sua storia.

Ai tempi che furono, ovvero nel 1589, arrivò a Palermo Bernardino di Cardines (o Cardenas come più vi attigghia), duca di Maqueda, con il compito di sostituire il vecchio vicerè conte di Olivares che era arrivato all’età pensionabile.

Bernardino si innamorò letteralmente della città (chiamalo fissa) al punto che per sanare le casse pubbliche, un pò in deficit, rimodulò completamente le politiche sulla restituzione dei debiti, andando così a prendersi questioni, non da poco, con i nobili dell’ epoca, maleabituati, nel prendere piccioli in prestito senza preoccuparsi più di tanto della restituzione.

Il duca, invece, pretese restituzioni del debito precise e puntuali, senza nessun "pagherò", "ma che c’è problema?" o "mi come stai faciuennu! Chi fa un ti rugnu?", al punto che il barone di Siculiana, reo di allattariarisi troppo nei pagamenti, fu rinchiuso per ben tre anni nella vicaria, ovvero fino a quando il nuovo vicerè rimase in carica.

Ma al Cardinas, piccioli e tesori piacevano assai. Così, con la scusa che voleva il bene della Sicilia e che doveva difendere le sue coste dagli attacchi di pirateria (cosa molto diffusa all’epoca), fece armare una flotta nutrita di navi e le mandò a scorrazzare in giro per il Mediterraneo con l’ordine di attaccare e depradare tutti i bastimenti Turchi che incocciavano, meritandosi così l’appellativo di vicerè pirata.

Fu così che accumulò ingenti ricchezze, che però, le cose giuste, volle condividere con la città in cui era ospite, cogliendo la palla al balzo, e supportando la decisione del senato palermitano che aveva deciso che, per migliorare la viabilità, occorreva aprire una nuova strada.

Fu così che il 24 luglio del 1600, Bernardino, diede il via ai lavori picconando la prima pietra con un martello fatto interamente d’oro, giusto per precisare cu era "u megghio". Purtroppamente per lui fu proprio l’amore per le ricchezze che lo fece accappottare.

Nel 1601, i suoi marinai, quelli che “difendevano” le coste sicule”, attaccarono, in pieno Mediterraneo un bastimento battente bandiera Turca, carico di ogni tesoro, ma anche afflitto dalla piaga della peste, con la quale contagiò anche l’equipaggio siciliano.

Nonostante tutto, il vicerè, non volle rinunciare ai tesori, per cui corruppe le autorità sanitarie deputate al controllo, e fece atraccare nave ed equipaggio, ormai infetto, facendo trasportare le 13 casse colme di tesori, fino al palazzo reale, dove le aprì in presenza delle stesse autorità sanitarie, delle moglie e figlio.

Aprì per ultima la più grande ed ornata, ma trovò il cadavere di un nobile ottomano, ornato da preziosi e con pregiate vesti, ma infettato, a sua volta dalla peste.

Fece malafine tra atroci dolori il 17 dicembre dello stesso anno, dando anche inizio alla famosa epidemia di peste della città di Palermo. Ma sul letto di morte, il duca donò tutti i suoi averi alla città di Palermo, affinchè fossero conclusi i lavori per la strada in progettazione e alla quale, in suo onore, il senato diede il nome di via Maqueda.

La via, detta anche strada nuova, tagliava la città da nord a sud nel senso perpendicolare del già preesistente Cassaro, andando a creare, in questo modo, la nominata "croce barocca", ovvero l’attuale piazza Vigliena nominata dai paletmitani Quattro Canti o Teatro del Sole.

Essa divide a tutt’oggi la città nei suoi quattro quartieri storici, (Loggia, Serracaldio, Kalsa e Albergheria), e ai suoi angoli sono ospitate le statue di Sant’Agata, Santa Cristina, Santa Ninfa e Sant’ Oliva, protettrici della città e divine rappresentanti dei 4 quartieri.

Leggenda vuole che le quattro statue rappresentino anche le quattro stagioni e che il sole, alle 12.00 di ogni giorno, illumini la statua corrispondente alla stagione in corso. Per anni quello fu il centro della città, e ancora oggi, nonostante l’urbanistica sia cambiata, molti palermitani lo considerano tale.

Il dotto e nobile, (d’animo), Rosario La Duca, nel suo "i bastioni e le porte di palermo ieri ed oggi", ci fa sapere che la costruzione di questo nuovo asse viario rese necessaria la creazione di due nuove porte, dato che fino ad allora Palermo assomigliava molto ad una tipica città medievale, con mura alte e stradine strette e buie.

La porta di Vicari, (o di sant’ Antonino per la chiesa verso la quale prospetta), cosi nominata in onore dell’ allora pretore della città, Francesco del Bosco, conte di Vicari, fu proettata dall’ architetto del senato Pietro Ranieri, e rese necessario l’abbattimento dei bastioni preesistenti di Termini e Sant’Agata.

Sempre la Duca ci rende noto che all’opposto, ovvero a Nord, si rese necessaria la costruzione della porta di Cardenas (ormai non più esistente), chamata dal popolo semplicemente di Maqueda, demolendo il baluardo della donna vedova, o più comunemente di San Giuliano per il vicino monastero oggi scomparso.

Fu proprio attraverso questa porta che, nel 1624, fecero ingresso in città le ossa di Santa Rosalia, patrona della città, trovate in una grotta di Monte Pellegrino e portate per far cessare l’imperversare della peste.

Ma il palermitano, nobile o plebeo che sia, si sa, resetto ne ha picca, per cui nel 1776 le autorità cittadine ne decretavano la demolizione al fine di edificarne una nuova e dall’aspetto più nobiliare. Successivamente, nel 1780, il pretore Antonino La Grua, la fece nuovamente demolire per edificarne un’ altra che avesse la stessa maestosità della porta Felice.

La porta di Cardenas fu definitvamente demolita nel 1880 per far posto all’ attuale piazza G. Verdi, ove poi la maginificenza della famiglia Florio, nel 1891, con il determinante contributo del genio di Giovan Battista Basile, fece erigere l’ invidiato, da tutto il momdo, teatro Massimo.

Ad oggi la via Maqueda, divenuta isola pedonale, con prosperare di locali tipici, e che vale la pena perorrere dato che costeggia meraviglie come Piazza Pretoria con la sua fontana della vergogna, (giusto per citarne una), ospita una nutrita comunità africana, bengalese e dello Sri-Lanka perfettamete integrate, a testimonianza del multiculturalismo ed accoglienza di Palermo e della Sicilia tutta.
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