"In viaggio con Rita Atria e Stefania Noce", in scena al teatro delle Balate
In scena al teatro delle Balate "In viaggio con Rita Atria e Stefania Noce", uno spettacolo diretto e interpretato da Stefania Mulè. Il racconto di due giovani donne attraverso un viaggio tra le loro idee, sogni e speranze.
Da una parte, la storia di Stefania Noce, una brillante ragazza di 24 anni pervasa da grandi ideali, forza di volontà e da una grande passione per lo studio e la politica, uccisa brutalmente insieme al nonno nella sua casa di Licodia Eubea dal suo ex ragazzo, il 27 dicembre 2011. Quella intrapresa da Stefania è una strada di battaglie politiche dedicate a tutte le donne morte in Italia e nel mondo, per mano di uomini violenti.
Dall’altro lato, la storia di Rita Atria, testimone di giustizia di 17 anni, suicidatasi il 26 luglio 1992, ad una settimana di distanza dalla strage di via D’Amelio. La ragazza di Partanna, dopo aver perso il padre e il fratello in una lotta tra clan mafiosi, decide di raccontare dei traffici della famiglia proprio al giudice Paolo Borsellino. In seguito alla sua tragica morte, Rita si suicidò ritenendo di essere più scomoda da morta che da viva.
La scomparsa del giudice Borsellino, l’unico a chiamarla affettuosamente “picciridda”, aveva significato per Rita, lo sgretolamento di qualsiasi possibilità di continuare nel suo faticoso percorso di denuncia, di “tradimento” verso quella gente di Partanna e quella politica, che l’aveva definita prima “pazza” poi “infame”.
Da una parte, la storia di Stefania Noce, una brillante ragazza di 24 anni pervasa da grandi ideali, forza di volontà e da una grande passione per lo studio e la politica, uccisa brutalmente insieme al nonno nella sua casa di Licodia Eubea dal suo ex ragazzo, il 27 dicembre 2011. Quella intrapresa da Stefania è una strada di battaglie politiche dedicate a tutte le donne morte in Italia e nel mondo, per mano di uomini violenti.
Dall’altro lato, la storia di Rita Atria, testimone di giustizia di 17 anni, suicidatasi il 26 luglio 1992, ad una settimana di distanza dalla strage di via D’Amelio. La ragazza di Partanna, dopo aver perso il padre e il fratello in una lotta tra clan mafiosi, decide di raccontare dei traffici della famiglia proprio al giudice Paolo Borsellino. In seguito alla sua tragica morte, Rita si suicidò ritenendo di essere più scomoda da morta che da viva.
La scomparsa del giudice Borsellino, l’unico a chiamarla affettuosamente “picciridda”, aveva significato per Rita, lo sgretolamento di qualsiasi possibilità di continuare nel suo faticoso percorso di denuncia, di “tradimento” verso quella gente di Partanna e quella politica, che l’aveva definita prima “pazza” poi “infame”.
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