"L'arte del teatro" spiegata a un cane: al Biondo l’omaggio di Paolo Musio al teatro di Pascal Rambert

Paolo Musio interpreta "L'arte del teatro" (foto di Luca Del Pia)
È uno spettacolo unico nel suo genere quello che va in scena nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo dal 15 al 17 gennaio: "L'arte del teatro" è frutto dell'ingegno del regista, drammaturgo e coreografo francese, già direttore del parigino Théâtre de Gennevilliers, Pascal Rambert.
Prodotto da Teatro Fondazione, Triennale Teatro dell’Arte e Teatro Metastasio di Prato, lo spettacolo è inquadrato in "[De]generazioni", la nuova Stagione del Teatro Biondo di Palermo (leggi l'articolo di approfondimento) e vede in scena l'attore Paolo Musio.
In "L'arte del teatro" un attore spiega al suo cane in cosa consiste l’arte dell’essere attori. In un appassionato e torrentizio fluire di parole, l’attore sfoga la sua amarezza per un mestiere in cui non trova più la scintilla della creazione.
E ancora, esprime l'angoscia per un teatro che avverte ormai malato e che sarebbe necessario riscoprire nei suoi aspetti più autentici: una voce, un corpo che ci guarda, un incontro umano che si realizza.
Affidando il suo monologo all’ascolto silenzioso del "migliore amico dell’uomo", l’attore di Rambert in realtà consegna a noi spettatori un’autentica dichiarazione d’amore per il teatro, arte che esige di essere goduta, che è sinonimo di vita e di passione, che nella dimensione privilegiata del “qui e ora” si nutre del respiro e del battito della contemporaneità.
Prodotto da Teatro Fondazione, Triennale Teatro dell’Arte e Teatro Metastasio di Prato, lo spettacolo è inquadrato in "[De]generazioni", la nuova Stagione del Teatro Biondo di Palermo (leggi l'articolo di approfondimento) e vede in scena l'attore Paolo Musio.
In "L'arte del teatro" un attore spiega al suo cane in cosa consiste l’arte dell’essere attori. In un appassionato e torrentizio fluire di parole, l’attore sfoga la sua amarezza per un mestiere in cui non trova più la scintilla della creazione.
E ancora, esprime l'angoscia per un teatro che avverte ormai malato e che sarebbe necessario riscoprire nei suoi aspetti più autentici: una voce, un corpo che ci guarda, un incontro umano che si realizza.
Affidando il suo monologo all’ascolto silenzioso del "migliore amico dell’uomo", l’attore di Rambert in realtà consegna a noi spettatori un’autentica dichiarazione d’amore per il teatro, arte che esige di essere goduta, che è sinonimo di vita e di passione, che nella dimensione privilegiata del “qui e ora” si nutre del respiro e del battito della contemporaneità.
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