"Quarto potere": la proiezione del capolavoro di Orson Welles al cinema Rouge et Noir

Considerato per anni da schiere di critici come “il film più bello di tutti i tempi” è di sicuro una pellicola imprescindibile e dalla forza impressionante. L’uso innovativo dei flashback nella struttura narrativa a quadri che talvolta si sovrappongono nei diversi punti di vista, le straordinarie trovate tecniche nel linguaggio della cinepresa, con sorprendenti riprese che danno profondità di campo allora mai viste, panoramiche e dissolvenze incrociate che da sole rappresentano un vero e proprio manuale della perfezione registica, il perfetto connubio con le musiche di Bernard Herrmann (l’autore di tanti capolavori di Hitchcock), fanno di "Quarto Potere" il film più citato, emulato, esemplare, di sempre.
La figura di Charles Foster Kane, interpretato dallo stesso Welles, che è stato anche attore gigantesco, viene raccontata, analizzata, attraverso un processo narrativo a ritroso. Lo vediamo cioè morire nelle scene iniziali e in tutto il resto del film apparire nel ricordo delle persone che gli sono state vicine. Kane è una figura ingombrante e contraddittoria degna di un classico letterario alla Fitzgerald.
Nasce povero, viene baciato dalla fortuna di un’improvvisa ricchezza e, invece che investire, decide di impiegare tutto il suo denaro in un unico scopo: accumulare oggetti, collezionare, “comprare” l’amore degli altri. Diventa editore e direttore di numerose testate al servizio del suo smodato Ego, tenta la carriera politica, viene adorato e odiato, considerato ora comunista ora fascista, ma soprattutto cerca, pretende, il consenso senza riserve, la venerazione senza indugi da parte della “gente” e delle donne che conquista costruendo per loro la realizzazione di sogni che in realtà sono suoi.
Una maschera tronfia e tragica che malcela un’enorme fragilità e una sconsolata solitudine. La ricostruzione della sua vita, nel film, viene fatta da un giornalista incaricato di capire il significato della parola pronunciata da Kane in punto di morte: “Rosebud”. Può una sola parola riassumere il senso della vita di un uomo? È quello che si chiederà il giornalista, è l’interrogativo che Orson Welles rilancia agli spettatori.
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