"Spina": i volti di Roma e Palermo nel progetto espositivo di due artisti a Palazzo Ziino
Opera di Giovanni de Cataldo
Visual Startup, il programma di direzione artistica di Palazzo Ziino che il Comune di Palermo ha affidato all'Accademia di Belle Arti di Palermo, presenta un nuovo progetto espositivo che mette in dialogo il lavoro di due artisti: Giovanni de Cataldo (Roma, 1990) e Gianfranco Maranto (Petralia Sottana, 1983).
La mostra, a cura di Daniela Bigi e Gianna Di Piazza, rientra in un disegno complessivo di ricerca incentrato sulle poetiche e sui mondi espressivi della generazione di artisti emersa nelle ultime stagioni.
Il risultato è un racconto visivo ed emotivo che, pur nella geometrizzazione di buona parte delle forme che ciascuno dei due autori propone, parla in realtà di una insofferenza, non gridata ma autentica, per il perpetrarsi di visioni unilaterali.
Nonostante il lavoro di entrambi gli artisti sia accomunato dalla lettura dello spazio dell'opera e al contempo alla forzatura dello stesso, il loro modo di procedere è più che altro un desiderio di guardare in modo più acuto e più personale, con un rinnovato incanto.
Le piccole sgrammaticature, qualche provocazione, alcuni leggeri détournement, senza divenire mai troppo espliciti, palesano la curiosità di entrambi per l'esperienza fisica, sentimentale, quotidiana del proprio habitat, che diventa angolazione privilegiata dalla quale guardare alla più complessa struttura della realtà.
L’idea originaria del titolo della mostra era "plug", termine usato nel gergo giovanile. Poi è diventato "spina", aggiungendo alla suggestione dell’energia e del contatto, l'idea di una tensione che, come accade in natura, nelle piante, è espressione di difesa e più in generale di vita.
Giovanni de Cataldo porta dentro il lavoro l'appartenenza alla città di Roma. Utilizzando soprattutto materiali di provenienza edile (guardrail incidentati, tombini, epigrafi delle catacombe), costruendo un mondo di elementi e di strutture dal forte appeal trasformativo, patinato e glamour, irriverente e popolare.
Attraverso procedimenti di varia natura, da quelli più artigianali a quelli più tipicamente industriali, dà vita a forme scultoree ordinate, studiate, ma che in realtà si nutrono di sedimenti contraddittori, con le sue storie, le sue tensioni.
Anche Gianfranco Maranto attinge a un immaginario urbano della città di Palermo. Quello che lo attrae è la struttura delle cose, dei materiali e la struttura della luce.
Lavora riducendo al massimo le informazioni figurali, arrivando alla sintesi estrema, alla linea, al punto, alle superfici geometriche con le quali allestisce poi degli ambienti astratti, in cui la ripetizione degli elementi costruisce griglie visive che danno vita a spazialità inedite.
Nella maggior parte dei casi quello che si viene a creare è una sorta di luogo/dispositivo dal quale osservare il comportamento della luce, da guardare non solo con gli occhi ma da esperire con tutta la fisicità del corpo, in una condizione pacificata tra azione e contemplazione.
La mostra, a cura di Daniela Bigi e Gianna Di Piazza, rientra in un disegno complessivo di ricerca incentrato sulle poetiche e sui mondi espressivi della generazione di artisti emersa nelle ultime stagioni.
Il risultato è un racconto visivo ed emotivo che, pur nella geometrizzazione di buona parte delle forme che ciascuno dei due autori propone, parla in realtà di una insofferenza, non gridata ma autentica, per il perpetrarsi di visioni unilaterali.
Nonostante il lavoro di entrambi gli artisti sia accomunato dalla lettura dello spazio dell'opera e al contempo alla forzatura dello stesso, il loro modo di procedere è più che altro un desiderio di guardare in modo più acuto e più personale, con un rinnovato incanto.
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La trasformazione degli spazi, lo spaesamento di certi oggetti o materiali, la sottolineatura o la ripetizione di alcuni elementi, la colorazione luminosa degli ambienti sono tutte strategie per sollecitare occhi, epidermidi, gesti spesso automatizzati, da divenire estranei alle volontà di tutti.Le piccole sgrammaticature, qualche provocazione, alcuni leggeri détournement, senza divenire mai troppo espliciti, palesano la curiosità di entrambi per l'esperienza fisica, sentimentale, quotidiana del proprio habitat, che diventa angolazione privilegiata dalla quale guardare alla più complessa struttura della realtà.
L’idea originaria del titolo della mostra era "plug", termine usato nel gergo giovanile. Poi è diventato "spina", aggiungendo alla suggestione dell’energia e del contatto, l'idea di una tensione che, come accade in natura, nelle piante, è espressione di difesa e più in generale di vita.
Giovanni de Cataldo porta dentro il lavoro l'appartenenza alla città di Roma. Utilizzando soprattutto materiali di provenienza edile (guardrail incidentati, tombini, epigrafi delle catacombe), costruendo un mondo di elementi e di strutture dal forte appeal trasformativo, patinato e glamour, irriverente e popolare.
Attraverso procedimenti di varia natura, da quelli più artigianali a quelli più tipicamente industriali, dà vita a forme scultoree ordinate, studiate, ma che in realtà si nutrono di sedimenti contraddittori, con le sue storie, le sue tensioni.
Anche Gianfranco Maranto attinge a un immaginario urbano della città di Palermo. Quello che lo attrae è la struttura delle cose, dei materiali e la struttura della luce.
Lavora riducendo al massimo le informazioni figurali, arrivando alla sintesi estrema, alla linea, al punto, alle superfici geometriche con le quali allestisce poi degli ambienti astratti, in cui la ripetizione degli elementi costruisce griglie visive che danno vita a spazialità inedite.
Nella maggior parte dei casi quello che si viene a creare è una sorta di luogo/dispositivo dal quale osservare il comportamento della luce, da guardare non solo con gli occhi ma da esperire con tutta la fisicità del corpo, in una condizione pacificata tra azione e contemplazione.
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