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"Cattura" lo sguardo nel cuore di Palermo: le meraviglie del palazzo simbolo della città

Una delle caratteristiche principali per la sua edificazione fu l’ambiente. La vicinanza al mare e la qualità del suolo (un costone roccioso limitrofo al porto)

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 8 gennaio 2024

Il prospetto di Palazzo Steri a Palermo

Piazza Marina, 60, Palermo. Da un lato rappresenta un semplice indirizzo di una grande città - il capoluogo della Sicilia - dove caos e storia trovano quotidianamente conferma.

Dall’altro, nel suo massimo splendore, si erge il Palazzo Steri-Chiaramonte. Una lunga passeggiata tra i vicoli fumanti e popolari racconta tradizioni (rimaste intatte) che si mescolano alle forme architettoniche di notevole spessore.

Nel bel mezzo di odori e sapori la "camminata" è attirata, quasi calamitata, dall’attenzione di una struttura quattrocentesca. Forme, personaggi e contenuti storici sono gli ingredienti che accompagnano i visitatori alla conoscenza di uno dei simboli palermitani.

Fu costruito nel 1307 (altri testi indicano la data del 1320) da Manfredi I, appartenente a una delle famiglie (Chiaramonte) più ricche e influenti della regione. Le geometrie disegnano un impianto quadratico "appoggiato" ad un cortile porticato a due ordini (massiccio il primo e aereo il secondo).
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Una delle caratteristiche principali per la sua edificazione fu l’ambiente. La vicinanza al mare e la qualità del suolo (un costone roccioso limitrofo al porto) costituivano gli elementi chiave.

I colori vivaci si "infilano" nelle bifore e trifore impostate su esili colonnine per dare luce ai vani. Mentre la mente è impegnata nello studio dei fatti accaduti, l’osservazione è distratta dalla bellezza delle sale e le vicende tristi delle carceri.

Le voci narrano di un episodio accaduto nel 1412. La regina Bianca di Navarra fuggì dalle tentazioni amorose di Bernardo Cabrera per trovare rifugio nel palazzo. A partire dal 1468 - per 49 anni - l’edificio venne designato come residenza dei vicerè.

Nel 1523 fu teatro delle fasi finali della "Congiura dei fratelli Imperatore", uno dei primi moti insurrezionali scoppiati contro gli spagnoli. Dal 1600 al 1782 si insediò il Tribunale dell’Inquisizione con la presenza delle “Carceri dei Penitenziati".

Successivamente, fino al 1958, trovarono posto gli Uffici Giudiziari e quelli della Regia Dogana. Oggi, dopo gli interventi di restauro apportati negli anni Cinquanta, si trova la sede del Rettorato dell’Università di Palermo. Una carrellata di date e avvenimenti che non possono distogliere i curiosi dalla visita.

Si mette in moto il gusto dell’osservazione. Immancabile, attenta, complice del luogo. I due piani che costituiscono l’intera struttura “offrono” spunti di studio irrinunciabili.

La Sala Magna o dei Baroni è il ritratto perfetto della scultura lignea. Il soffitto fu eseguito nell’arco di tre anni (1377-1380), realizzato da Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pellegrino Darena da Palermo.

Rivela e testimonia l’immagine della società isolana del Trecento. Le didascalie esaltano e celebrano fatti e vicende del periodo. Il polo museale si concentra su uno dei periodi negativi e cupi della storia: l’Inquisizione.

Le carceri, ricche di preziosi graffiti, "pongono" l’accento negativo sulle sofferenze patite dai carcerati. Raffigurazioni umane e invocazioni delle prigioniere accusate di stregoneria. Scritte in dialetto, italiano, latino e inglese mostrano le barbarie subite ingiustamente.

Esseri umani dotati di intelligenza (vedasi cartina geografica della Sicilia scolpita a muro) inducono a una profonda riflessione sui criteri (insensati) adottati.

Inoltre, il palazzo è "ornato" da altre sale: delle Armi, dei Vicerè, delle Capriate, delle Udienze, dei Baroni (da non confondere con la Sala Magna) e la stanza dell’Inquisitore. Il tempo trascorso scorre inesorabile fin quando, improvvisamente, l’antico si nasconde dietro a un capolavoro immenso: “La Vucciria” di Renato Guttuso, pittore bagherese.

Un minuto, due… tanti altri regolano il tempo del silenzio. Non esistono parole, emozioni e sensazioni che possono descrivere un’opera definita “illogica” e reale.

È l’atto conclusivo di un percorso ricco di riferimenti. Palazzo Steri-Chiaramonte non può essere sintetizzato in poche righe.

Ancora una volta prevalgono gli stili e questa volta, senza ombra di dubbio, quello chiaramontano (derivato dal singolare innesto di forme normanne e gotiche) è diventato il protagonista indiscusso di un passato "indimenticato" che merita le giuste attenzioni.
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