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"Comandava" donna Franca, non temeva la mafia: chi fu Giovanna, che nobilitò i Florio

Il suo matrimonio con Ignazio diede lustro ai Florio. Giovanna sapeva comandare, non le sfuggiva nulla. E in un'occasione rivelò anche il retroscena di un delitto

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 31 gennaio 2023

Donna Giovanna D'Ondes

“Giovanna d’Ondes era una donna alta e magrissima, con un vitino piccolo piccolo e i capelli appena argentati che rimasero tali fino a tarda età. Vestiva quasi sempre di nero". Così Anna Pomar descrive “l’anziana signora Florio” (che all’epoca, nel 1893, proprio anziana non era, aveva solo 50 anni).

Giovanna d'Ondes Trigona (1843-1917) figlia di Gioacchino d’Ondes e di Eleonora Trigona, aveva sposato nel 1866 Ignazio Florio (senior). La nobiltà dei D’Ondes Reggio era in verità molto recente: il padre di Giovanna aveva acquisito il titolo di conte da Giovanni Luigi Cozzo nel 1865, quando questi gli aveva fatto dono di tutto il suo patrimonio.

Più antica e prestigiosa era la nobiltà dei Trigona: lo zio materno di Giovanna, il principe Romualdo Trigona era senatore del regno e spesso rappresentava il re Vittorio Emanuele nelle cerimonie ufficiali a Palermo. Giovannina, così veniva familiarmente chiamata dai genitori, era figlia unica.
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La dote della sposa ammontava ad appena 90.000 lire, perché i D’Ondes non erano ricchi, ma il matrimonio permetteva comunque ai Florio di fare il grande salto di qualità: la famiglia si conquistava con queste nozze un posto nell’aristocrazia siciliana, imparentandosi con i Naselli, gli Starabba, i Gravina Termine… .

Non ricca né bella, Giovanna D'Ondes, ma spontanea e di grande fascino e simpatia, così ne parlava Francesca Notarbartolo di Villarosa. Aveva un’innata eleganza e si sarebbe dimostrata sin da subito una perfetta padrona di casa.

Il marito Ignazio (1838-1891) aveva lo sguardo mite e l’espressione pacata. “A conoscerlo di persona è semplice, simpatico, di maniere schiette e di mentalità aperta, insomma proprio l’opposto del milionario volgare.” (F.Elliot). Condivideva con il padre la "religione del lavoro", ma aveva un temperamento diverso da quello di Vincenzo Florio, era più pacato e più riflessivo.

Aveva ricevuto un'ottima educazione, frequentava l’elìte cittadina e nessuno l’avrebbe chiamato “facchino fortunato”, come era accaduto a suo padre Vincenzo. Come sottolinea Orazio Cancilia, Vincenzo “era nato borghese, aveva sposato una borghese ed era vissuto da borghese” fino alla fine dei suoi giorni. Ignazio - grazie alle nozze con Giovanna – si era invece perfettamente integrato nel tessuto sociale aristocratico: nel 1887 venne invitato insieme ad altri siciliani al giubileo della regina Vittoria.

Dopo la morte del padre si dedicò a un’oculata gestione del patrimonio familiare. Ignazio e Giovanna andarono dapprima ad abitare nella vecchia dimora di famiglia in via Materassai. Nel 1868 acquistarono la villa dell’Olivuzza. Si rivelarono una coppia affiatata, contesa da tutti i salotti della città e solitamente a casa loro, tre volte a settimana, si riuniva la buona società palermitana.

Lei aveva occhi neri e vivaci, era snella; lui era un po’ corpulento, aveva faccia tonda e una folta barba scura, i suoi modi erano cordiali. Giovanna era sempre molto elegante, aveva una predilezione per le tinte chiare e faceva realizzare i suoi abiti a Parigi.

Mangiava pochissimo, si limitava a piluccare un po’ di frutta: arance, mandarini e lumie…Da giovinetta le si era pericolosamente ristretto lo stomaco perché, come riporta Pietro Nicolosi in Palermo Fin de Sieclè, per evitare d’ingrassare come sua madre, aveva a lungo fatto una dieta a base di latte e aceto.

La coppia ebbe quattro figli: Ignazio che avrebbe sposato donna Franca Jacona; Vincenzo, morto nel 1879 di vaiolo a 12 anni; Giulia che promessa sposa a 13 anni, a 15 anni sarebbe convolata a nozze con Pietro Lanza di Trabia; un altro Vincenzo, nato nel 1883, con un mese di anticipo - che sarebbe stato il futuro ideatore della Targa Florio -.

Negli anni Settanta dell’Ottocento Ignazio consolidò gli affari della famiglia e rafforzò i suoi rapporti con Crispi, politico siciliano in ascesa e legale dei Florio. Ignazio e Giovanna, come tutta l’aristocrazia palermitana, trascorrevano l’estate lontani dalla torrida Palermo.

La famiglia si muoveva per l’Europa (nonostante Giovanna parlasse solo l’italiano e di preferenza il siciliano) con una propria vettura ferroviaria, arredata come un appartamento (privilegio che condividevano solo con i Trabia, i Tasca e gli Scalea). I Florio possedevano uno yacht, il Mary Queen e don Ignazio Florio era considerato l’uomo più ricco di Palermo.

La morte del primo Vincenzo nel 1879 fu un evento estremamente doloroso: Ignazio e Giovanna mantennero il lutto per un anno e Ignazio non volle partecipare ai festeggiamenti in onore dei reali d’Italia arrivati in visita a Palermo, fu ricevuto in udienza privata dal sovrano.

Nel settembre del 1881 nacque la Compagnia di navigazione generale italiana, dalla fusione della compagnia di navigazione Florio con quella dei Rubattino e nel 1883 Ignazio venne nominato senatore del Regno d'Italia. Nel 1891 il senatore Florio moriva, lasciando un invidiabile patrimonio, imprese e aziende che spaziavano in tutti i settori produttivi: erede diventava a soli 23 anni Ignazio junior, che già dal 1889 era stata associato col padre in alcuni affari.

opo la morte del marito Giovanna indossò per il resto della sua vita solo castigati abiti, rigorosamente neri, arricchiti da un colletto di crespo bianco o da eleganti polsini ricamati. La signora Florio “trascorreva tutto il giorno a ricamare, spesso fino alle prime luci dell’alba, attorniata da dame di compagnia, amici e cameriere personali nei propri appartamenti all’Olivuzza”. ( K.Giannilivigni).

Nell’agosto del 1891 Ignazio Junior conobbe Franca Jacona. Per alcuni biografi di donna Franca il padre sarebbe stato contrario alle nozze, a causa della fama di donnaiolo impenitente del giovane Florio, e per questo motivo si sarebbe trasferito con la famiglia a Livorno.

In realtà i Florio erano ormai da tempo ai vertici dell’alta società internazionale, diversamente dal barone Jacona, proveniente da Caltanissetta, che a Palermo non godeva di grande prestigio sociale. Le differenze sociali erano a favore dei Florio e il barone si era probabilmente trasferito a Livorno per sfuggire ai creditori.

Contraria al matrimonio era stata invece sin da principio donna Giovanna, irritata per le accuse rivolte al figlio, che avrebbe compromesso con la sua corte spietata la giovanissima Franca. Due anni dopo, il 23 febbraio 1893, Ignazio sposava Franca Jacona di San Giuliano.

La coppia si trasferiva nella piccola reggia dell’Olivuzza, dove vivevano già donna Giovanna e il figlio Vincenzo di 10 anni. “La convivenza con la suocera fu immediatamente improntata a un reciproco rapporto di stima e di rispetto. La casa era sufficientemente grande, peraltro, per consentire a entrambe la massima libertà.

L’anziana signora Florio abitava un proprio appartamento nell’ala destra della villa e passava la maggior parte della giornata davanti a un gigantesco telaio che troneggiava al centro del salotto, tessendo splendidi arazzi intramezzati da pietre e da coralli", scrive Anna Pomar.

Diversa è la versione di Costanza Afan De Rivera: “Franca si era abituata presto all’ingombrante onnipresenza della suocera Giovanna...provvista di grande intuito e senso degli affari. Donna Giovanna aveva sostenuto il marito e contribuito a costruire l’impero economico di cui continuava a condividere la gestione con il figlio Ignazio junior.

Non solo teneva saldo il comando della servitù di casa, ma si ostinava a imporre consigli alla nuora in forma di ordini. Quando la giovane era rimasta incinta le aveva proibito perfino di recarsi alla voliera del giardino, per via della presenza di brutti uccellacci neri che avrebbero potuto deformare l’aspetto del bambino in arrivo".

Giovanna D’Ondes era dunque una donna molto determinata, che sapeva il fatto suo.

Nel gennaio del 1897 suo figlio Ignazio scoprì, infuriandosi, che dei ladri erano entrati in casa sua ed erano stati rubati numerosi oggetti d’arte. Si lamentò col giardiniere Francesco Noto (capo della cosca mafiosa dell’Olivuzza) e col guardiano Pietro Noto, fratello di Francesco.

Lo storico tedesco Otto Kaemmel, che visitò la Sicilia nel 1899, raccolse una testimonianza secondo cui i Florio versavano alle cosche 12.000 lire ogni anno, per non essere molestati. Questo spiegava perché vivevano tranquilli nel regno dell’Olivuzza.

Ignazio Florio smentì l’illazione attraverso i suoi legali. Il giardiniere Francesco e il guardiano Piero Noto, qualche settimana prima del furto del 1897 in casa Florio, erano stati i mandanti del rapimento di una bambina di 10 anni, Audrey Whitaker. Il padre, Joss Whitaker, aveva subito pagato il riscatto, circa 100.000 lire e aveva poi negato che il rapimento fosse mai avvenuto.

Due affiliati della cosca dell’Olivuzza, i cocchieri Vincenzo Lo Porto e Giuseppe Caruso non erano rimasti contenti della spartizione del bottino del rapimento e per “sfregio” avevano commesso il furto a casa Florio, per umiliare i fratelli Noto, i loro capi.

Una volta restituiti i beni ai Florio, i fratelli Noto denunciarono agli altri boss i due ladri Lo Porto e Caruso. Il 24 Ottobre 1897 i cocchieri furono trucidati con numerosi colpi di rivoltella, da un gruppo di uomini d’onore, in un fondo rurale dell’Arenella.

I corpi furono gettati in una grotta e alcuni giorni dopo, il sentore della decomposizione fece scoprire i cadaveri. Quando le mogli dei cocchieri capirono di essere rimaste vedove, altri mafiosi fecero creder loro che i mariti erano morti eroicamente, uccisi da una banda rivale, per essersi rifiutati di rapire il giovane Vincenzo Florio, fratello minore di Ignazio.

La bugia fu smascherata proprio da Giovanna d’Ondes. Verso la fine di novembre del 1897, circa un mese dopo l'omicidio, Agata Mazzola vedova Lo Porto avvicinò donna Giovanna che dal suo palazzo si recava al convento delle suore della carità e le chiese un aiuto per i suoi figli rimasti orfani e per sè stessa, priva di mezzi di sostentamento.

La signora Florio non si scompose per nulla rispondendo bruscamente: “Non mi seccate, perché vostro marito era un ladro che veniva a rubare nel mio palazzo assieme al Caruso".

Donna Giovanna sapeva tutta la storia, ne sapeva più delle due vedove e sicuramente più della polizia che brancolava nel buio. (Salvatore Lupo. Storia della mafia, 2016).

Giovanna d'Ondes ebbe una vita lunga, piena di lutti, delusioni e dispiaceri: la forzata condivisione del dolore alla fine la strinse anche a Franca.

“Negli anni donna Giovanna aveva stemperato le lacrime e non vedeva più nella nuora quella donnina frivola che un tempo l’aveva carpito l’affetto del figlio", scrive Costanza Afan De Rivera. Il 17 dicembre 1917, a seguito di un attacco cardiaco, Giovanna moriva: era malata di angina pectoris. La crisi fatale la colse a Villa Igiea, lontana dalla sua reggia dell'Olivuzza.

Lasciava tutto ciò che possedeva equamente suddiviso tra i 3 figli e 5000 lire a ogni nipote. Dell’impero familiare dei Florio restavano ormai solo le briciole…
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